sabato 2 aprile 2016

Se ti abbraccio non aver paura - Fulvio Ervas

A volte un libro diventa importante non per come dice e neanche per cosa dice, ma perché diventa strumento.
O esempio.
"Se ti abbraccio non aver paura" è uno di questi libri.

Fulvio Ervas racconta l’esperienza vissuta da Franco Antonelli e da suo figlio Andrea.
Un padre e un figlio on the road, in un viaggio che dura molti giorni, senza programmi, alberghi, prenotazioni.
Un coast to coast, dalla Florida, punto di partenza, fino al Pacifico, con tante deviazioni e ancora in Messico, Guatemala, Belize, Costarica, Panama, e Brasile.
Senza meta e senza obiettivo, a tentoni, spinti da imprevisti, costrizioni o meravigliose scoperte.
Così come è la strada della vita che Franco percorre con suo figlio.
Quanti figli desidererebbero un’esperienza così? E quanti padri?

Ma Andrea è autistico.
Il deserto entra ed esce dai miei pensieri. L’associazione tra deserto e autismo è immediata. La scarsità di relazioni, l’apparente monotonia. Il silenzio. L’essenzialità. La vita che si fa strada sgomitando, distante dall’esplosione delle foreste, infilata tra la sabbia, dentro le fessure delle rocce, che non disdegna mimetismi, adattamenti estremi, che accetta di perdere parti di sé pur di resistere.”

Per entrare nel deserto di Andrea ho provato tante volte a imitare i suoi gesti: saltare sul posto, sfregare forte le mani con il suo ritmo, correre da un punto all’altro e tornare subito indietro, guardare sbilenco.

Ho provato emozioni molto forti e mi sono sempre dovuto fermare perché arrivavano lacrime così grandi che non si possono trattenere.

Dell’autismo non si conosceva nulla fino alla metà degli anni ’50 del secolo scorso.
Dell’autismo si conosce pochissimo ancora oggi.
Non si sa perché accade, non si sa che cosa siano l’ecolalia, i gesti scomposti, le ripetizioni, i comportamenti strani.
Dell’autismo non conoscevo nulla se non la versione patinata (e platinata) interpretata da Dustin Hoffman in Rain Man.
Dell’autismo ora so, perché ho avuto N., e altri ragazzini autistici sono nella mia scuola.
E’ difficile, molto difficile entrare in contatto, intuire i bisogni, riuscire a immaginare i sogni.

Sono un uomo imprigionato nei pensieri di libertà.

Andrea vuole guarire.
Ciao.”

E’ uno dei biglietti che Franco si porta dietro nel viaggio, un biglietto scritto da Andrea sotto la guida della madre.
Io non so quanto di Andrea ci sia in questo messaggio. Quanta consapevolezza del senso delle parole.
Mi chiedevo, guardando il mio N. , quanto c'era di suo in quello che scriveva al computer  e quanto invece era   prodotto di ciò che noi volevamo che lui scrivesse.

Ecco, è tutto bello per lui. È solo una meccanica ripetizione? Oppure significa che ciò che riesce a filtrare e ricomporre lo apprezza talmente da percepire la magnificenza di ogni scheggia dorata che arriva dal mondo? Io voglio illudermi che sia così.”

Io voglio credere che sia stato così il viaggio per Andrea, che sia così la sua vita.
Anche se molto lontanamente, posso comprendere ciò che prova un padre (una madre).
Ci vuole un coraggio enorme a intraprendere un viaggio come quello che hanno fatto insieme Franco e Andrea, contro il parere dei medici, contro la convinzione che le novità “destabilizzino” ancora di più gli autistici.
(mi si stringe il cuore quando vedo l’educatrice premere G.. sulle spalle, sotto il collo, quando la vedo guidarlo come un burattino, mentre G. vorrebbe correre e correre. )

Franco e Andrea hanno fatto un’esperienza bellissima.
Difficile, ma forse non più difficile dell’affrontare la vita quotidiana.

Ho capito che non avrei vissuto con un continuo pianto senza lacrime, con una smorfia o con un ghigno. Davanti a questa prova della vita avrei imparato a sorridere: l’avrei affrontata con fatica, ma anche con responsabilità, con intenzione. Con positività. Non sarei rimasto lì a inghiottire vicoli ciechi in salsa di palude.”

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