martedì 27 ottobre 2015

La giornata d'uno scrutatore, Calvino Italo.

Una volta, per un referendum che poi non raggiunse manco il quorum, feci da scrutatrice all’ospedale Cotugno, padiglione malattie infettive.
Cinque o sei elettori votanti, forse sette. In pigiama.
Nessun seggio volante, per fortuna.
[Temevo il contagio.]

Ad Amerigo Ormea , protagonista de “La giornata di uno scrutatore”, non va liscia.
Era iscritto al partito, questo sì, e per quanto non potesse dirsi un “attivista” perché il suo carattere lo portava verso una vita più raccolta, non si tirava indietro quando c’era da fare qualcosa che sentiva utile e adatto a lui. In Federazione lo consideravano elemento utile e di buon senso: ora l’avevano fatto scrutatore
(ma negli anni ‘50 si sceglievano gli scrutatori in base alle simpatie politiche?)

Il suo compito, da svolgere al Cottolengo, è di vigilare affinchè non accadano brogli, o meglio, affinchè i “pazienti” non vengano “sollecitati”, pur se incapaci di intendere e di volere, a votare per la DC.
Si trattava per i partiti del governo di far valere una nuova legge elettorale (la legge-truffa, l’avevano battezzata gli altri), per cui la coalizione che avesse preso il 50% + 1 dei voti avrebbe avuto i due terzi dei seggi…

[la legge fu abrogata l’anno successivo: alla tornata elettorale in cui il personaggio Amerigo fu scrutatore non scattò, perché la coalizione di governo ottenne il 49,8% dei voti. Nonostante le “sollecitazioni”.
Eh, ai politici son sempre piaciute le “correzioni” e i porcellum]]

Un seggio non troppo composito, il suo: il presidente vecchio, timoroso, indeciso ma formalista, la crocerossina in blusa bianca, lo scrutatore smilzo e defilato e gli altri (democristiani tutti, “tesi a smussare i contrasti”) , una compagna “arancione” (socialista, la verità) dura e pura e cacacazza.
E poi lui, Amerigo.
Si sentiva troppo scoraggiato per sperare di prendere qualsiasi iniziativa. La sua battaglia legalitaria contro le irregolarità e i brogli non era ancora cominciata e già tutta quella miseria gli era calata addosso come una valanga. Che facessero presto, con tutte le loro barelle e stampelle, che s’affrettassero a compiere questo plebiscito di tutti i vivi e i moribondi e magari anche i morti: non era con le ragioni formali di cui disponeva uno scrutatore che la valanga poteva essere fermata.

La vera valanga per Amerigo è però il contatto- contagio con gli abitanti del Cottolengo, che scuote l’intero apparato delle sue certezze e convinzioni.

Costretto per un giorno della sua vita a tenere conto di quanta è estesa quella che vien detta la miseria della natura(…) sentiva aprirsi sotto ai suoi piedi la vanità del tutto.”

E la valanga precipita sui concetti astratti di giustizia, libertà, bellezza, Dio e annessi e connessi, sulla sua condizione concreta e reale (una storia sentimentale complicata, fuggevole; un figlio, forse) e sulla quaestio massima: cosa è l’uomo, cosa è l’umano.
Ad Amerigo tocca anche il seggio volante, che lo porta nel cuore nascosto del Cottolengo, tra i ragazzi pesce e le monache morenti.
E’ soprattutto un padre che schiaccia le mandorle al figlio idiota, che fa scattare la consapevolezza di un legame tra il suo mondo e quello ora disvelato.
Il “genere di amore come una reciproca e continua sfida o corrida o safari , non gli pareva più in contrasto con la presenza di quelle ombre ospedaliere: erano lacci dello stesso nodo o garbuglio in cui sono legate tra loro - dolorosamente , spesso (o sempre) – le persone.”

Una breve, fulminea rivelazione: “l’umano arriva dove arriva l’amore, non ha confini se non quelli che gli diamo.

Sarebbe potuto essere un secco racconto “neorealista” sulla condizione degli “espulsi” dalla società perché “diversi”, o un incazzato racconto di denuncia sulla questione del malcostume politico e sociale.

Ma Calvino è sempre ‘a mostro, e questo libro non è solo un racconto “neorealista” e un pamphlet , ma un terremoto: un coacervo di domande senza risposta, un dirompere di dubbi, di incertezze.
(anche la breve fulminea rivelazione non “sistematizza” il mondo)
E mi è piaciuto assai.

sabato 17 ottobre 2015

Respiro, Winton Tim.

Oltre al gioco del camminare ad occhi chiusi che facevo da bambina, ce n'è un altro che faccio ancora.
Trattenere il respiro. Tanto, più a lungo che potevo, fino a diventare quasi blu. 
[una forma di controllo e di dominio sul corpo]
Ora solo quando sono in macchina e mi rompo le scatole in modo esponenziale. 
Dura pochissimo, chè nei polmoni neri di fumo la quantità di ossigeno che riesco a trattenere è davvero un soffio.   


"Arriva con Jodie.  Non c’è nulla che possano fare. 
La madre ha tagliato la corda, l’ha lavato e l’ha sistemato sul letto. 
“Non credevo che mi avrebbe fatto quest’effetto.
Che cosa? 
E’ il mio primo suicidio, mormora.
Già, non era un bello spettacolo. Però, non si tratta di suicidio.
Cristo, Bruce, hanno dovuto sfondare la porta e tirarlo giù. Il ragazzo si è impiccato. ”

E’ il primo capitolo del libro Respiro di Tim Winton.
Non è un giallo, non è un poliziesco,  ma il perché dell’asserzione di Bruce  - non si tratta di suicidio - lo si capisce solo alla fine. 

Dal ritrovamento del cadavere, Bruce comincia un’immersione nel passato, fin nell’occhio del ciclone dell’adolescenza, quando  l’incontro con un ragazzo di poco più grande,  Loonie,  e poi con Sando e Eva, cambiano il suo modo di “pensare” la vita.  
Giocare a chi trattiene di più il respiro sott’acqua. 

Cavalcare l’onda: il surf, ma non solo.
Era così strano, vedere degli uomini che facevano qualcosa di bello. Qualcosa di insensato ed elegante, che non avrebbe attratto l’attenzione o l’interesse di nessuno. A Sawyer, un paesino di tagliaboschi, operai e contadini, con solo un macellaio e un impiegato di banca. La gente era abituata a fare cose solide e pratiche, usando soprattutto le mani.

Fare qualcosa di straordinario,  sfidare la paura, il dolore, le leggi della gravità. 
Sfidare la morte  per avere il potere assoluto sulla e della vita.


… quando sei giovane hai la sensazione che la vita ti renda impotente, trascinandoti sempre indietro verso la stessa sequela di respiri, in un’eterna capitolazione alla routine biologica, e che il desiderio umano di assumere il controllo sia legato alla capacità di affermare il proprio potere  sul proprio corpo almeno quanto sulle altre persone.”

Non solo l’onda ha un punto di rottura. 


A margine.
Tim Winton,  scrittore australiano pluripremiato in patria e anche all'estero, è davvero poco letto in Italia .
[L'Australia è lontana. Invece l'Ammmerica sta dietro l'angolo.]  



domenica 11 ottobre 2015

L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento.

Mi hanno regalato questo libro in estate.
Durante le ferie estive non lo avrei letto manco se mi avessero pagato.
(staccarelaspinafarfintadiessereunidraulico)
Ora che sono tornata ad annegare nel caos e nell'incertezza del dopo riforma, ho deciso di.
Tanto, quando si sta nell'acqua, aggiungendone un bicchiere non è che cambi molto.
 (però se avessi saputo delle parole di stima dell'autore verso Renzi, una bella nota a piè di pagina, l'avrei proprio suffunnato).

Recalcati  comincia con una pacca sulla spalla alla categoria scamazzata e confusa degli insegnanti, “messi al margine della società, umiliati economicamente e professionalmente e, nello stesso tempo, convocati paradossalmente a esercitare sempre piú la funzione di supplenti di un discorso educativo che sembra non aver piú sostegno né nelle famiglie né nelle istituzioni.

Continua individuando le cause dello “smarrimento della scuola” nella sua attuale connotazione neoliberista,  che elogia il “… primato del fare, e sopprime, o relega in un angolo stretto, ogni forma di sapere non legato con evidenza al dominio pragmatico di una produttività concepita in termini solo economicistici (per esempio, la filosofia o la storia dell’arte alle superiori). Garantire l’efficienza della performance cognitiva è divenuta un’esigenza prioritaria che risucchia le nicchie necessarie del tempo morto, della pausa, della deviazione, dello sbandamento, del fallimento, della crisi.

E fin qua, siamo d’accordo.
Molto d’accordo.

Considera poi la vocazione della scuola nel tempo,   utilizzando idee e concetti  di derivazione psicoanalitica, e   delinea, in base alle caratteristiche della trasmissione del sapere, tre modelli:  Scuola-Edipo, Scuola-Narciso , Scuola-Telemaco.
........
[Mi chiedo se Freud e Lacan  abbiano mai  pensato che si possa  psicanalizzare la qualunque. Mi aspetto in un futuro non lontano persino una disamina in chiave psicoanalitica  del brod’è purp e della parmigiana di melanzane.]

Arriva infine a individuare quella che dovrebbe essere la vera missione della scuola.
L'erotica dell'insegnamento.
Rendere il sapere un oggetto in grado di muovere il desiderio, un oggetto erotizzato capace di funzionare come causa del desiderio, in grado di spostare, attirare verso, mettere in movimento l’allievo

Ohh, e cribbio, eccerto, e ci mancherebbe!

Aspetto con ansia che Recalcati mi fornisca suggerimenti, consigli, appigli, su come rendere erotica la mia ora di lezione – le mie tante ore di lezione -, ammesso che non abbia la presunzione di considerare già le mie prestazioni didattiche altamente erotiche.
Affatanti, anzi.
[Ho sempre cercato di affatare i ragazzi . Son piccolini, posso solo affascinarli, poi con il  tempo, forse…  mi dico]

 “Il dono più grande del maestro non è il dono del sapere ma quello di saper “tacere l’amore”. 
Questo dono è il più prezioso perché non vincola l’allievo ad alcuna obbedienza, ma lo lascia sempre libero di andarsene, di separarsi dal maestro.”

Saper tacere l’amore, scoprirò più avanti nella lettura - perchè all'inizio ho pensato e checazz, senza passione come si fa? io non ci riesco a fare le cose se non sono mossa da passione, la passione è contagiosa, i ragazzini l'avvertono, ed è secondo me l'unico modo per rendere erotica l'ora di lezione - significa non prevaricare con il proprio pensiero e le proprie passioni i pensieri divergenti.
E anche qui ci siamo. Mi pare di essere l’insegnante perfetta.
[E perchè non sono salva dalle frustrazioni?]

Ma se da un lato l’analisi degli aspetti negativi della scuola “smarrita” sono  condivisibili - palesi  e ovvi, almeno per chi nella scuola lavora -, dall’altro non esiste in realtà nessuna  ricetta, nessun metodo, nessun appiglio, nessuna proposta che possa far ritrovare un senso alla Scuola.
L'erotica dell'insegnamento  non può farsi cifra di un cambiamento globale: la capacità di rendere erotico il sapere non la si matura con i corsi di formazione, con le riforme, con le teorie blabla.
La capacità di rendere erotico il sapere c’è o non c’è.
Non è contrattabile, non è estendibile.

 “Sono i maestri che non scordiamo, quelli che hanno lasciato un’impronta indelebile dentro di noi. E’ l’etimo del verbo insegnare: lasciare un’impronta, un segno, nell’allievo.”

Si dovrebbe postillare  che non scordiamo neanche  quelli che hanno lasciato un’impronta in negativo [io lo so perché detesto la matematica.
Magari il “fascino erotico” del metodo di insegnamento delle mie prof.  di matematica ha fatto breccia in senso positivo nella testa e nel cuore di qualche altro allievo]
Inoltre,   non tutti i discenti hanno lo stesso rapporto con “l’erotismo”.
C’è chi soffre del vuoto, c’è chi si sfasteria appena comincia la sfida  - o il cocco ammunnato e 'bbuon o niente oggetto del desiderio.

Il rapporto tra insegnante e allievi è sempre uno a uno,  in entrambe le direzioni, anche quando sembra uno a molti.
E poi,   capita che  si inneschino  dei meccanismi  assolutamente non  configurabili  come paradigmatici per risolvere il dramma della scuola smarrita.
E' lo stesso Recalcati a darne testimonianza.
L’ultima parte del saggio è dedicata al ricordo di Giulia, professoressa di lettere dell’istituto di agraria frequentato dall’autore.

In quegli anni sei stata, Giulia, il mio amore segreto, il pane, la scodella del caffellatte, la sciarpa, le scarpe, i quaderni di appunti, i miei libri, i miei dischi, le prime infatuazioni letterarie, l’interlocutrice silenziosa che accompagnava i miei pensieri, la voce che dolcemente mi invadeva, il volto e lo sguardo che mi riempivano.

E’ il ricordo dolcissimo e struggente di un’infatuazione, di un amore adolescenziale, non dell’amore verso il sapere.
(anche a me piacevano  la voce e le parole del  professore  di italiano del liceo artistico , barba e capello scompigliato – ragazzi, la rivoluzione! –  , e può anche darsi che la sua presenza mi abbia spinto a  scegliere la facoltà di  lettere e non quella più ovvia di architettura.
Salvo poi  subire un piccolo trauma quando volli incontrarlo qualche anno dopo la maturità, nel rendermi conto che aveva confuso, lui il professore, il mio interesse intellettuale con qualcosa di altro.
Rattuso. )

Giunta alla fine del libro  chiedo: e dunque Recalcati?
Come la mettiamo con la scuola smarrita?
Che facciamo?


Scettica e perplessa (assai perplessa) resto.