sabato 31 gennaio 2015

Cuore, Pancreas, Fegato

Gli organi interni ispirano. 
Ispirano soprattutto racconti legati alla scuola.
Tra il libro Cuore,  il tripudio  dei buoni e onesti e patriottici sentimenti  e il libro  Pancreas, il  tripudio delle mazzate e delle battutacce da spogliatoio,  ci sarebbe stato bene  Fegato, 
anche per la polivalenza del significato del fegato nei modi di dire: dal coraggio insito nell’avere fegato, alla sfrontatezza insita nell’avere un bel fegato fino alla rabbia  prodotta dal rodersi il fegato. 

Di Cuore ne ho parlato già qui, di Pancreas penso che non valga proprio la pena,  perché se è vero che due pagine del libretto di Covatta Giobbe possono pur far ridere, le altre centocinquanta sono pari pari e il troppo stroppia e stucca più del troppo poco. 
(farsi fare il solletico con una mazza chiodata)

Il libro Fegato c’è stato e ora non c’è più. 
Aleggia vago nei ricordi.
Chiossape se  qualcuno  tra la trentina di quella classe conserva ancora i fogli  ciclostilati, ripiegati e spillati al centro.
M. ci descriveva tutti, difetti vizi e vezzi. 
Con ironia bonaria, e occhio fino. 
Un compagno per pagina.
In rigoroso ordine alfabetico. 
(Forse anche qualche professore ci finì dentro, ma la mia memoria a lungo termine non arriva a tanto)
Ricordo la meraviglia, che da M. il muchiusurdo, una roba così fu una vera sorpresa. 
Di quell’anno e di quella trentina  ho perso tutte le tracce.
Una labilissima è ricomparsa qualche tempo fa. 
E da lei ho saputo che l’autore di Fegato  è diventato famoso. 
Un drammaturgo.
Eh, i muchiusurdi. 

(Mannaggia  alla mania di riordino che periodicamente si impone e mi fa buttare miliardi di fogli carte libri cartoline sticazzi che il riciclo è una virtù.)

mercoledì 14 gennaio 2015

Mystic River. La morte non dimentica.

Non ho visto il film, dicono che sia molto bello.
Il libro lo è: teso, nervoso, inquietante.
Non solo per le aderenze al genere noir, ma soprattutto per i risvolti che sottendono il profilo psicologico dei personaggi e le loro relazioni.
Padri e figli, mariti e mogli, amici.
Della trama, non dico niente.
Della infelicità, invece…

Povero, povero Dave, destinato a diventare un licantropo non tanto per l’evento che lo ha trasformato in bambino che sfugge ai lupi, quanto per il vuoto pneumatico che gli si è creato attorno.
Un vuoto e un silenzio che Dave ha riempito con una ragnatela di omertà e menzogne dalle quale non è più riuscito ad uscire, e che lo ha reso due volte vittima.
Povero, povero Jimmy, che ha amato così tanto sua figlia da diventare un uomo nuovo, e per amore di sua figlia ha tirato fuori dall’armadio e fuori dai sogni gli scheletri , ed è tornato quello che era.
Povera Katie, che amava così tanto il padre da non potergli rivelare il nome dell’amato.
Povero Sean, attaccato ad un telefono ad ascoltare il respiro, non le parole della sua donna .
Il silenzio non paga mai.
(e se il fratello di Brendan non fosse stato muto?)

Nel sogno, Jimmy parcheggiava la macchina, prendeva con sé un vassoio di cartone con caffè e ciambelle, e attraversava il parcheggio verso il Mystic River. Le macchine sfrecciavano sulle rampe metalliche del Tobin Bridge sopra di lui, e Katie stava inginocchiata sulla riva del fiume insieme a "Ray e Basta", entrambi con lo sguardo rivolto verso l'acqua.
C'era anche Dave Boyle, con la mano ferita talmente gonfia da sembrare un guantone da baseball.
Dave era seduto su una sedia da giardino accanto a Celeste e Annabeth. Celeste aveva una specie di cerniera sulla bocca, e Annabeth fumava due sigarette contemporaneamente. Portavano tutti e tre gli occhiali da sole.
Tenevano lo sguardo fisso sul ponte, e avevano tutta l'aria di voler essere lasciati in pace.
Jimmy appoggiava i caffè e le ciambelle per terra, accanto a Katie, e si inginocchiava vicino a lei e a "Ray e Basta". Guardava l'acqua e vedeva il proprio riflesso, e quello di Katie e di Ray, mentre si voltavano verso di lui.
Ray stringeva tra i denti un enorme pesce rosso, che continuava a dimenarsi.
«Il mio vestito è caduto nel fiume» diceva Katie.
«Non riesco a vederlo» faceva Jimmy.
Il pesce guizzava fuori dalla bocca di Ray, finiva nell'acqua e si allontanava scivolando sulla superficie, senza smettere di dibattersi.
«Ci penserà lui a trovarlo» diceva Katie. «È un pesce cacciatore.»
«Sapeva di pollo» commentava Ray.
Jimmy sentiva la mano calda di Katie sulla schiena, poi quella di Ray sul
collo. «Perché non vai a prenderlo, papà?» chiedeva Katie.
Poi lo spingeva un po' avanti. Jimmy vedeva l'acqua scura e quel pesce guizzante venirgli incontro, e si rendeva conto che sarebbe annegato. Spalancava la bocca per urlare e il pesce ci saltava dentro, togliendogli l'ossigeno. L'acqua scura sembrava vernice, quando ci immergeva la faccia.

Certe connessioni e collegamenti sono a volte davvero inspiegabili.
Nonostante nel libro non ci sia niente di surreale, se non il crudele, ordinario destino, e con buona pace di Clint Eastwood, di Boston, dei Flats e del Point, e di tutto il resto, ho pensato ai segreti di Twin Peaks.


lunedì 5 gennaio 2015

Asta per selfie e Walter Benjamin

Forse un paio di mesi fa ho realizzato a che cazz servono  le mazzarelle con rettangolo in cima  che cuofani di ambulanti vendono agli angoli delle strade del centro. 
L’attrezzo mi sembrava uno specchietto, la verità – un aggeggio  buono per guardare sotto le gonne o sotto la marmitta della macchina. 
E invece ho capito trattasi di “asta per selfie”.
Bastoncini  per posizionare il cellulare o la macchina fotografica  e fare un selfie  in modo che paia una foto scattata da altrui mani,  in modo che  la distanza consenta di inglobare anche sfondo, oltre a se stessi. 
[Ma non viene più facile fare lo scippo  se  l’apparecchio è posizionato sulla mazzarella piuttosto che nel saldo pugno?]

Certe connessioni e collegamenti sono proprio strani. 
L’asta per selfie e Walter Benjamin, ad esempio, e la Distanza.

Ho pensato all’  intuizione di Benjamin sulla  “morte dell’arte tradizionale” per la perdita dell’aura e della sacralità, lì dove, nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”,  riflette  sulle nuove tecniche,  fotografia e cinema,  e paragona l’operatore cinematografico al chirurgo, che pone la mano sul corpo del paziente, al contrario del pittore/mago, che esercita un potere “a distanza”. 

E ancora, riflettendo sulle nuove modalità di percezione dell’arte,   Benjamin osserva: 
Così il cinegiornale fornisce ad esempio a ciascuno la possibilità di trasformarsi da passante in comparsa cinematografica. 
Ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di venir filmato.”

Ogni uomo contemporaneo, adesso,  può avanzare la pretesa  di farsi operatore.  

Ho pensato chiossape quale sarebbe stata l’osservazione di Benjamin di fronte al nuovo “cinema”, quello dei video amatoriali che inondano You Tube,  o alle aste per selfie, e al mi selfizzo, dunque sono, ripetuto infinite volte.
 Il tubo dove il chiunque contemporaneo è regista del mondo e di se stesso.
Soprattutto di se stesso. 
(il centro del mondo)