lunedì 28 luglio 2014

Hispanic trip: Barcellona.(2)

Barcellona ha la vocazione della capitale.

Il primo impatto è con un traffico congestionato,  sensi  unici che inzamano continuamente  il navigatore,  semafori e scatti o arresti improvvisi e repenti, fiumi di persone che attraversano compatte. 
(eh, le regole e le strisce!)
Barcellona è come potrebbe essere  Napoli (e come Napoli non sarà mai). 

Il cuore di Barcellona, un rettangolo compreso tra la Rambla, il lungomare, Via Laietana e piazza Catalunya (Si dice mi pare ‘na  piazza di spagna  per dire di una piazza immensa: tale è la piazza Catalunya), è tutto bello. 
Mi sembra inutile descrivere chiese monumenti strade quartieri.
(internet se ne cade di informazioni)
E allora, come al solito, note sparse e disordinate.

Paella
E’ il secondo impatto con la città.  
Fantasmagorica (per la prima sono stata assai fortunata), e ancora mi rammarico  di non aver acquistato una paellera sul loco.
La paella non è solo un piatto tipico: è festa, è socializzazione. 
(spesso nei ristoranti la servono minimo per due persone,  certo  solo per una questione economica e pratica, ma mi piace pensare che non sia soltanto così. Si mangia  dalla stessa caccavella, almeno si preleva dalla stessa caccavella).

In dei giardinetti del quartiere Gracia, un’associazione ha organizzato una magnata collettiva: un lungo tavolato composto da tavolini da campeggio, piatti e bicchieri di carta, e una paella smisurata. 
Eh, mi sarebbe piaciuto assai condividere il pasto. 
(Non sarebbe stato come papparla al ristorante)
Ma chi non vuole capire, lingua a parte, non capisce. 
Vabbuò la socializzazione e la festa, ma solo inter nos, non con gli estranei, ecco.






Metropolitana.
Tante linee, non affollate come quelle francesi;  corse puntuali e  ravvicinatissime,  i tempi di attesa (almeno per la L3) non superano i tre minuti,  sicchè davvero  usare la macchina per arrivare al centro  è inutile. 
(i parcheggi costano cari assai)
Tuttavia, un punto negativo ce l’hanno.  Chiudono a mezzanotte,  anzi,  un quarto a mezzanotte già i cancelli vengono  serrati. 
Chi è dentro  fa l’ultimo viaggio, chi è fuori si arrangia  (o fa movida fino all’alba o s’attacca all’autobus o ferma il taxi).
Fare ehi, ehi, infilarsi tra i cancelli aspettando i molliconi (chi l’avrebbe mai detto, uno slancio che manco Mennea) è un'esperienza. (per la movida fino all’alba non ho l’età)

Boqueria
La Boqueria  è il mercato coperto situato  a metà della Rambla, un tripudio di colori, di odori, una vera meraviglia per gli occhi (e anche per il palato, dirò poi), eppure nasconde  una stranezza  che ancora mi turba. 
Mi sono chiesta come sia possibile che  con tanto pesce esposto sui banchi,  teste mozzate nelle bacinelle,  viscere gettate nei contenitori di polistirolo, non vi sia  neanche una mosca. 
Neanche una.
E’ un mistero  davvero, anche perché non si può dire che vi sia un clima tale da inibire lo svolazzo moschifero.
Alla Boqueria  si può bighellonare e assaggiare qualcosa: come resistere alle macedonia di frutta a pezzi grossi messa in bicchieroni di plastica o  a snack più sostanziosi?
Non resisto né alla frutta né ai cuppetielli con fettine di salame, di prosciutto, di tocchetti di salamino e agli spiedini con 6 tipi diversi di salumi tra cui due cubetti di una specie di patè compatto: butifarra, scopro, blanca e rossa. 
Buonissima.
Ahem, quella rossa è tale per l'aggiunta di sangre. 
Sangue???
Bandito fu dal sanguinaccio napoletano,  eppure,  a non saperlo che di sangue si tratta,  che cosa saporita è la butifarra rossa!





Mappa turistica.
Gli uffici turistici ne diffondono a bizzeffe.  Utili, certo, ma anche  taaaanto  imprecise. 
Orientarsi diventa un busillis. 
I nomi degli edifici e delle strade  stampati alla sanfransò:  ho girato a vuoto  enne volte essendo alle spalle di quello che cercavo. 
E ancora: la distanza tra la fermata della linea  3 Drassanes alla spiaggia della Barcelloneta sembra breve.
E invece cazzarola è  esagerata! 
Non si arriva mai, e fortuna che  ci sono gli alberi,  i chioschetti  e  varie altre forme di intrattenimento  che rendono meno maratonico il percorso. 


La Rambla, fino al mare
La immaginavo come una strada tortuosa e incassata nei palazzi (immaginavo Spaccanapoli, perché hai voglia a consultare google immagini, dal vero le cose fanno tutto un altro effetto), invece è un enorme e affollatissimo stradone attraversato soprattutto in discesa verso il mare da un cuofano di persone. Ai lati della rambla le strade per i veicoli e ai lati  delle strade per i veicoli  marciapiedi larghi e infiniti negozi.
Uno stradone a cinque corsie di cui la centrale abnorme.  
Una figata. 
E male ho fatto a fidarmi di chi mi avvertiva di mariuoli e borseggiatori  presenti come funghi: mi si è rattrappita la mano a furia di tenere stretta la borsetta. Sono certa che è un passeggio  sicuro quanto quello nelle vie di  Berna.  
Di certo non più a rischio di quanto possa essere  una camminata in via Toledo. 
(eh, i pregiudizi! Ci stanno pure cuofani di gendarmi!)



Sul Moll de les Drassanes si balla il tango, così, un'improvvisata. 








La Rambla de Mar, costruita nel  vent’anni fa, spinge la città ancora più sul mare. 
E’ un ponte che porta ad una  banchina su cui domina un enorme centro commerciale, il Mare Magnum.
Eh, sti centri commerciali del caizer, orribili non luoghi globalizzati. 
La connotazione della modernità. 
Però la passeggiata sulla Rambla del Mar, soprattutto verso sera, è bell’assai. 

I venditori ambulanti  con le tenebre si moltiplicano come funghi. Sono rapidissimi nel piazzare  il telo con le cazzatelle e a farlo ritornare fagotto,  anche più volte nell’arco di un quarto d’ora, all’erta per chiossape quale richiamo avviso fischio o segnale in codice (o solo un falso allarme) 
I controlli sugli immigrati (e sui venditori senza licenza) deve essere ferreo,  penso. 
  


La Barcelloneta
Punto notevole della  spiaggia della Barcelloneta in un'ora di osservazione dalle 6 alle 7 del pomeriggio : un carnaio tipo mappatella beach.
Gente che gode del mare così come si può con il cielo, e come dovrebbe essere sempre.
Un carnaio  che si estende a perdita d’occhio,  data anche l'assenza, almeno fin dove lo sguardo permette,  di fasce omogenee colorate  o  a strisce arancioni bianche blu alias stabilimenti balneari che  di fatto, orribile vezzo di un consistente  segmento costiero italico, negano il mare a chi non tiene dinero o a chi per principio non vuole  pagare qualcuno che si appropria della spiaggia e dell’accesso all’acqua. 
(Le concessioni balneari sono aberranti)
Sarà per  il fatto che l’arenile è suolo pubblico,  ma ho avuto l’impressione che i barcellonesi  siano tipi da  spiaggia e non da mare, che viene usato come tavolo da gioco per fare surf, per pazziare con tavulelle  e altri ammennicoli galleggianti. 
(pochi bagnanti, pochi nuotanti)
La marcata insistenza sulla spiaggia deve renderla ricettacolo di tesori ben più ricchi di quelli rinvenibili setacciando  la battigia dopo un’ondata di maltempo, vista  la presenza convinta e serissima, in un centinaio di metri quadri, di ben due cercatori di preziosi, dotati di metal detector e di  zaino capiente, radbomanti d’oro che si aggirano ruotando l’attrezzo a pelo di sabbia tra i piedi e gli asciugamani degli spiaggianti.


Ed essendo la spiaggia anche passerella, non è peccato mostrare tenute veramente à la page: ecco, vero è che la moda del monoslip dilaga sul web  ( di quelli non ne ho visto manco uno), ma davvero non immaginavo che ci fosse qualcuno capace di indossare (indossare, insomma) il  copripisello, o costume Borat, nella originale tinta verde evidenziatore  fosforescente. 
(la foto è solo esplicativa in quanto,  per mio scuorno,  non ho fatto foto al soggetto concreto) 






Avinguda de la Reina Maria Cristina,  Fontana Magica,  Fiera e burdelli

L’Avinguda RMC è una strada  che collega Plaça d'Espanya con il Museo dell'Arte Catalana alla base della collina di   Montjuïc.
Anche al fiera, oltre al tripudio di fontane,  si apre su questo grande boulevard. 
La fontana magica  è davvero uno spettacolo incantevole (Ooooooohh!!), soprattutto quando iniziano le danze, alle ventuno  in punto,  e dalle vasche rettangolari  che fiancheggiano il boulevard Reina Maria Cristina  si innalzano, come un’ola,  getti d'acqua,  preludio al fantasmagorico gioco di acqua e luci e suoni che ha come perno la grande  fontana circolare.
Spettacolo gratuito:  la scalinata, le balaustre, le aiuole, le passerelle sopraelevate  sono affollatissime.
Spettacolo nello spettacolo: la reificazione moderna  del barocchismo, in senso etimologico. 
L'’effetto dell’assembramento di cose e persone ed eventi è bizzarro, il fastoso, il pomposo: il ritmo regolare dell’acqua nelle fontane, i fumi delle griglie  in piena  attività  (certe bisteccone che uamamma)  e gli  odori dolciastri dei cibi arabi, le bancarelle metallare – tutto un rigurgito di teschi e borchie –,  i baretti mobili con tanto di antistanti pedane 70X70 cm su cui fanciulle discinte muovono i fianchi invitando i passanti a sorseggiare sangria o tinto o birra, le giostre con la gabbia schiattabudella che ruotando verso l’alto copre l’intera visuale del museo (un palazzo di ispirazione classicista costruito in occasione dell’esposizione internazionale del 1929), i bambini con i batuffoli di zucchero filato e i nonnini motociclisti con i capelli bianchi legati a codino e il giubbotto di pelle e gli stivali.
Un azzeccagarbuglio di vitalità sfrenata. 
Eh, perché il caso ha voluto che in quei giorni la fiera ospitasse un evento: il raduno della Harley Davidson: dall’area della fiera, nella quale in  due tendoni  gruppi rockettari si contendono il pubblico  (resisto solo pochi secondi agli emuli dei U2, sfiancata dai fiati ad elevatissimo tasso alcolico e da zaffate di sudore raffermo)  emergono figuri che sembrano fuori dal tempo.
(E’ come se una persona di mia conoscenza, cara, cara,  indossasse a 70 anni di nuovo gli zoccoli e il gonnellone e la coroncina di fiori nei capelli. Ah, e non mettesse neanche il reggiseno, naturalmente)
Sul finale della serata l’avenue Reina Cristina e Plaça d'Espanya si  trasformano  in balera:  una vecchina,  presa dalla vertigine della musica, a pochi passi dalle  cubiste  sulle pedane,  si  lancia in una provocantissima lambada e invano tenta di trascinarvi dentro, quale accompagnatore delle rotazioni del bacino,  un  bel giovine ivi passante ( occhio fino, la nonna). 
Due di picche, che lo dico a fare. 
( e ho pensato, cazz, mica te la devi concupire, guagliò, quale sacrificio sarà mai.)
Vita, vita, vita.


Ah, poi c'è Gaudì.
Ma merita sproloquio a parte.




Le altre tappe: 
8: Albi e Carcassonne


venerdì 25 luglio 2014

Hispanic trip (1)

Si fa presto a dire andiamo in vacanza in Spagna se:
- Niente aereo.
- Voglio andare a Barcellona.
- Non  voglio visitare solo una città.
- Ma poi non si va al mare?
- Voglio fare il bagno nell’oceano.
- Mica ci dobbiamo chiudere nei musei???
- Non mi va di affittare lì l’automobile.
- Ehhhh, i treni locali? Non esiste proprio.
- E poi Pamplona e la festa di San Firmino ce la perdiamo?
- Eh, ma quanto ci costa.
- Varie altre di cui è meglio tacere.

Dunque, forte dell’esperienza pregressa per il viaggio in Provenza,  dopo giorni  di googolamenti, di mappe cartine distanze costi prenotazioni cancellazioni prenotazioni spostamenti di rotta etcetera etcetera, un vero trip pretrip, e contando su  un compagno a cui guidare per ore fa un baffo ritorto, ho pianificato un viaggio lungo 16 giorni e  oltre 4500 chilometri  percorsi tra  Catalogna, Navarra, Paesi Baschi e Francia assortita, cercando di salvare la capra, i cavoli, la barca mezza affondata e pure il  lupo.
(per non dire dei tratti a piedi: dopo un anno di culo sul divano, un vero ribaltamento del mio stile di vita)
Aridunque, in manovra di avvicinamento alla terra iberica, si fa sosta  per due notti  a Cagne sur --mer.
Niente mer, solo visita al centro antico, Haute de Cagne, arroccato in cima alla montagnella.
Si lascia l'auto nel parcheggio 700 posti ai margini della città nuova, e si comincia la via crucis - prima attraversare tutta la città nuova, poi arrampicarsi su certe salite con pendenza 80% e postura del corpo 45°, occhio fisso sull'acciottolato sghembo, infine arrivare in vetta ai piedi del castello come un profugo grondante sudore e accorgersi del parcheggio situato in zona laterale. Buttare jastemmie che manco uno scaricatore di porto.





Però ne vale la pena, se non altro per l'atmosfera  che si respira. Lentezza.
Haut de Cagne sembra uno di quei paesini cilentani  o calabri che si sono con il tempo diramati a mare.



Tutto molto più curato, molto ben tenuto, con un ritmo di vita  davvero slow.


Haut de Cagne







Nei due campi di bocce che sono nella piazza antistante al castello, davanti al quale un palco montato preannuncia futuri concerti, giocano abbattendo qualunque barriera generazionale guagliuni e vecchierelli, e sembrano anche divertirsi molto.
Loro. 
A me basta una mezza serata. 



Grasse, la città dei profumi. 
E' inutile cercare di riconoscere il set del film Il profumo ambientato anche a Grasse, nel libro  da cui la pellicola è tratta.
(scopro che le location cinematografiche sono quasi tutte spagnole, oibò).
E più che di profumi e  profumerie, si dovrebbe parlare della profumeria.
Ingombrante, invadente: Fragonard.
(Il mecenatismo allo stato puro, in realtà. Fondazioni, musei, etc etc) 
Fragonard sta a Grasse come la Fiat sta (stava)  a Torino. 
E' presente dovunque,  persino il trenino turistico è un giallo veicolo pubblicitario dell'opificio e del negozio.
Fabbrica visitabile gratuitamente e boutique  riccamente servita da commesse di svariate nazionalità: una parla in tedesco, un'altra in cinese, una  in giapponese, una persino  in italiano (azz!) in modo che chiunque possa comprare sentendosi accolto affettuosamente, mica un estraneo, un barbaro.
Alle 12 in punto il suono inquietante di una sirena: cos'è? un allarme antiaereo, un'esercitazione militare,  l'avviso di un imminente terremoto, la pausa pranzo dei maestri profumieri?
Il mistero si dipana nella zona pedonale del centro antico: da una selva di tubicini che attraversano la strada da palazzo a palazzo, con ritmo regolare, si sprigionano getti di vapore profumato.

Grasse



Alle dodici e trenta un altro urlo di sirena segna la fine delle vaporizzazioni.
Il profumo impregna e invade una cittadina che altrimenti sarebbe ordinaria abbastanza: quando si dice puntare sulle specificità.
Eh, bisognerebbe imparare a sapersi vendere così bene.









Saint Paul de Vence.

Forse c'entra il fatto che non è un giorno festivo, ma Vence mi  è sembrato un paese fantasma. 
Nei vicoletti, dove ci sono un'infinità di  atelier di artisti (direi esclusivamente atelier di artisti), solo qualche  raro passante, e silenzio.

Spunta una coppia: gonna nera al polpaccio, blusa rossa a fiori e sandali lui;  occhiali stravaganti, fiori nei capelli, pantalone nero a tubino e casacca rossa l'altro lui.
In pendant con l'ambiente.
(je suis un artiste)



Però si vedono cose davvero molto incuriosenti, nelle vetrine degli atelier chiusi. 
Tecniche insolite e affascinanti, forme sorprendenti, belle opere, bei lavori, belle idee. 


Anche cacate, ci mancherebbe.
Saint Paul de Vence

Tuttavia Vence è un posto curioso e interessante.
Solo i ristoranti  e i bistrot (pochini entrambi) sono affollati. 
E  in pieno spirito di contraddizione (nous sommes des artistes!), invece di attendere che si liberi un posticiello per mangiare qualcosa, si torna alla base e lungo lo stradone si prende la pizza in una baracchella che fa  la pizza au feu da asporto.
Pizza da asporto presa e consumata sullo stradone, insieme al gruppo di operatori ecologici  in divisa arancione fosforescente, durante la loro pausa lavoro. 
I camion della munnezza parcheggiati più avanti.
La pizza, ho visto, la stendono con il rullo, infilandola nella macchinetta che serve per fare le tagliatelle. 
Sottile come una piadina.
Blasfemia, blasfemia. 
(Ora e mai più, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore)

Da Cagnes sur- Mer a Barcellona.

Mai più lamentarsi della Salerno-Reggio Calabria.
Le file chilometriche non hanno confini. 
(è la loro risonanza che, a seconda dei luoghi, ha nomea ed echi diversi)
L'autoroute A8, detta La Provençale, è un'autostrada francese trafficatissima, una barriera (con pedaggio da pagare, carta di credito o monetine) ogni piè sospinto.
Subito dopo la barriera di La barque… un muro di lamiere.
Si vede però che i francesi sono poco abituati alle immobilità prolungate: i motori restano accesi per oltre mezzora, ci sarà stata una concentrazione di monossido di carbonio che a paragone l’aria della terra dei fuochi è cura termale.  
Pian piano  si comincia a scendere dalle auto, si fa conversazione: la madame dell’auto accostata dice che vi è stato un incidente, per un tamponamento a catena  ci sono  dieci chilometri di fila (ah, l’isoradio francese!) .
Un signore spagnolo, diretto a Madrid, racconta di una  disavventura simile occorsagli tra Milano e Torino (tiè, non era almeno la Salerno /Reggio).
Poco ci manca che si tirino fuori le carte da gioco.
Mi viene in mente un racconto di Cortazàr, L’autostrada del Sud, in Tutti i fuochi il fuoco, e maledico il momento  in cui l’ho letto.
Spero che la fantasia  superi  la realtà.
Solo dopo due ore la situazione si sblocca.
(chiossape se ne hanno parlato i giornali francesi)
Il passaggio dalla Francia alla Spagna è tangibile sin dal primo casello autostradale.
Incredibile  come in pochissimi chilometri possa mutare paesaggio.

Si arriva a Barcellona.