mercoledì 14 agosto 2013

Della Provenza e oltre: Camargue. (6)

Provenza è anche Camargue, un’area compresa tra i delta del fiume Rodano: zona  di paludi, di acquitrini, di stagni, di laghetti, di  uccelli, di tori, di cavalli e di butteri e gitani.
(nonché di grandi e gustose magnate)
E’ un luogo “orizzontale”, dove  gli spazi abitati e naturali non comunicano tra loro secondo un criterio gerarchico.
Si succedono e scorrono, e basta.
Non riesco a tradurre in altro modo questa strana  sensazione che unisce la “piattezza” alla libertà.
Aigues Mortes è il baluardo occidentale estremo della Camargue (la piccola Camargue) , Port-Saint Luois du Rhòne è quello orientale.
Quanto diverse, le due cittadine.
Nel mezzo, Les Saints Maries de la Mer.
(quanto diversa, questa cittadina).

Aigues Mortes ha il centro storico  inscritto in una  fortezza del XII secolo.
Tranne le tre strade centrali, piene di negozi di souvenir e di ristoranti, per il resto è il mortorio dei sensi.
Fuori dalla fortezza, la città nuova e il fiume, lungo il quale sosta un esercito di piatti barconi ristoranti, di barconi/case galleggianti,  di barconi arrugginiti, di barconi da trasporto.
E di barconi/battelli  che portano i turisti verso l’esplorazione dei canali.
Però a non capire una mazza di quello che dice la guida che con microfono alla mano accompagna nella traversata, il paesaggio pare tutto uguale, una monotonia tale da conciliare il sonno, salvo un ridestamento improvviso quando tra i canneti  si intravede una costruzione, manco la piramide di Cheope.
(un silos per la conservazione del riso?)
La gita in  battello prevede una sosta per poter osservare da vicino tori e cavalli camarguesi.
Due butteri, in uno spiazzo all’aperto tra i canneti, danno prova  della loro abilità nel guidare i tori nel recinto.
I tori sono di una potenza esagerata, quando corrono.
Però che tristezza questi spettacolini, come pure l’unica casa tipica camarguese che si vede dal fiume, lasciata lì (o ricostruita lì) apposta per far contenti gli spettatori.
(non ci andrò più sui battelli che esplorano i canali del Rodano, ecco)
Molto meglio aggirarsi sui bastioni della fortezza, nonostante il sole a picco sulla capoccia, nonostante il caldo, chè da lì lo sguardo arriva fino alle saline e oltre.
(Anche le Saline sono visitabili, a pagamento naturalmente, 9 euro il prezzo per salire sul trenino).

Les Saintes Maries de la Mer è un paese spagnolo, nonostante si parli francese.
La foto, e si capisce immediatamente, non è mia.
Non mi ricordo da dove l'ho presa.
 Tori, corride, paella, le case basse e bianche,  la chiesa/fortezza.
E’ il  villaggio  dove a maggio si riuniscono tutti  i Rom per la festa di  santa Sara la nera, la serva delle Marie che danno il nome al paese,  la cui statua è nella cripta della chiesa.
Ha davanti a sé una spiaggia lunghissima, divisa dai frangiflutti in tante calette.
Il mare ghiacciato.
(un mare tanto basso quanto freddo)
E’ qui che ho realizzato ancora una volta che non sarò mai sola, che  non potrò mai staccarmi dalle radici.
Una voce, anzi, un urlo si staglia nel silenzio, proveniente dal mare, ad  una ventina di metri dalla riva.
“Pascàààà, può venì, ccà  l’acqua è cavura!!”

A Port Saint Louis du Rhone c'è una delle bocche del Rodano.
Gentilissime le impiegate dell’ufficio turistico.
(Italiana?- si vede forse dalla faccia, fatto sta che l’hanno capito al primo sguardo e  mi hanno dato la mappa della città e le brochure in italiano, le uniche e sole in italiano, roba che manco ad Arles e Avignone)
E’ un paese turistico di serie b, perché nell’immediata periferia vi è  un'enorme area industriale.
Però.
Che bell'effetto fa il fiume che si interseca con il mare, nella smisurata lingua di sabbia che è  la Plage Napolèon,  creando  pozze d'acqua, come  mari lunari.
Lungo la strada che conduce alla spiaggia, si intravedono stagni, e forse fenicotteri rosa.
Infilando un viottolo sterrato, nel tentativo di raggiungere i fenicotteri, ho incocciato nei pirati.
Qualche bella casetta in pietra, qualche baracca, qualche ibrido tra casa in pietra e baracca.
Su alcune di queste nascoste case  sventola la bandiera del Jolly Roger.
Gli sguardi che si incrociano non invitano a restare.
(ma io ci resterei volentieri)

Anche dall’altro lato del paese, quello vicino al porto, c’è uno spazio enorme di riva.
Larghissima.
Qualcuno vi passeggia,  e chi guarda da lontano  ha la sensazione che quel qualcuno  stia camminando sulle acque, come Gesù Cristo.
E’ bellissimo.

Port Saint Luois e  Salin de Giraud sono paesi quasi dirimpettai. Il Rodano li divide. Per evitare di fare un giro lunghissimo, e arrivare da una sponda all’altra, si  può prendere un traghetto.
Chi ha l’abbonamento al mezzo di trasporto ha la precedenza nell’imbarco.
Gli altri pagano 5 euro ad auto (i pedoni e le bici passano gratis).
In tre minuti si è all’altra sponda del Rodano.
Saline de Giraud come paesello non ha grandi attrattive, ma ha appunto ha le saline.
Saline di Giraud
E l’ufficio turistico.
(Hanno uffici turistici in ogni pizzo, i francesi.)
Per vedere le saline c' è un punto di osservazione panoramico.
Un tempo, dice l’impiegata, anche lì c’era un trenino che permetteva ai visitatori di compiere un giro tra le vasche e le montagne bianche.
(ma preferisco così, la verità proprio)
Le saline hanno delle vasche completamente violette.
Chissà perchè.
(vabbuò, sicuramente qualche fatto di chimica, ma chi se ne fotte, si ammira uguale senza competenze)
Nell'ufficio turistico di Salin, l’impiegata è la prima e unica che parla bene l’italiano.
Una delizia, comprendere le indicazioni. E poi la signora è garbatissima, prodiga di spiegazioni e di suggerimenti
Peccato averla incontrata solo alla fine del viaggio, però.
Però.
Le ho detto della bellezza della plage Napoléon a  Port Saint Louis. Non ci era mai stata.
( Come uno che sta a Mergellina e non sa com’è Posillipo, più o meno).
Anche qui abbiamo una spiaggia molto particolare. Forse piace, forse no. Da vedere. Selvaggia in qualche modo. Non regolamentata.
E' la spiaggia di Pièmanson.
Anche questa foto non è mia. 
Un accampamento incredibile di caravan, tende, roulotte, furgoni, parcheggiati  direttamente sulla spiaggia,  cominciando da un centimetro dall’acqua, ingombra lo spazio per quanto è lungo l'orizzonte.
Pare  mappatella beach solo che al posto degli ombrelloni e delle sdraiette e degli asciugamani ci stanno camper caravan e tende.
Fa  strano vedere la signora coi capelli azzurrini che fa il cruciverba sulla seggiolina all’ombra della tenda della sua roulotte,   tutta sistematella,  accanto ad un camper con annesso recinto un cui si ergono i giochi per i bambini – privatizzazione di sabbia pubblica - , di sguincio ad una coppia di camper con tendone comune e tavolini apparecchiati posti  al fianco di un furgone a uso di camper abitato da ragazzi dall’aspetto  sciammannato.
Si avverte un senso di promiscuo e di disordine incredibile.
Proprio in riva al mare, che non si vede, si può solo immaginare, data la barriera di lamiere che gli si para davanti.

Fuori rotta e fuori dalle Camargue c’è  Martigues.
È di fatto il porto turistico dei marsigliesi.
Una città enorme e moderna che sarebbe potuta essere un bijou, invece è una città vassalla.
Il centro ê un'isola, con pochissimi ristoranti e niente souvenir.

Era un villaggio abitato da pescatori, l'isola, il centro.
Però anche  di qui conserverò il ricordo di qualcosa di strano, di anomalo, di mai visto: la  spiaggia fatta tutta da gusci di cozze e frutti di mare.
Solo gusci, nè sassolini nè poseidonia nè alghe né sabbia né pietre né scogli.
Un fondale di scorze.


Il viaggio è finito.
E’ un peccato, ma anche no.
Se non si torna, capace è che non si abbia poi l’immediato desiderio di ripartire.



In ordine, le tappe precedenti:
*il Verdon
*la piana della lavanda
*la terra delle ocre
 Arles e Les Baux
*  Avignone e Nimes


lunedì 12 agosto 2013

Della Provenza e oltre: Avignone e Nimes (5).

Avignone - bastano  briciole di reminiscenze scolastiche sulla  storia medievale - è  associata ai papi.
Era la città dei papi. 
D’istinto si pensa a severità e austerità, rigore e magnificenza. 
Ora è la città del teatro. 
Questione di mazzo, mica lo sapevo prima che a luglio vi è il festival del teatro. 





Avignone mi è parsa così: gggiovane, briosa, vivace, alternativa.
Il grande boulevard  affollatissimo,  un fiume di gente tanto che pareva di stare ad una   manifestazione, con frequenti  ingorghi causati da soste attorno  ad  artisti di strada, giocolieri, musicisti, attori travestiti o ”in borghese” che pubblicizzano il proprio spettacolo, locandine teatrali appese su ogni pizzo, legate da cordoncini di spago: sui muri dei monumenti, sui pali dei semafori, tra una ringhiera di balcone e un’altra, sugli alberi e sui cassonetti dell’immondizia. 
Ho incocciato persino l’uomo sandwich che portava in giro sul cartellone la propria faccia, essendo di pirsona pirsonalmente il  protagonista di una  pièce teatrale. 
Oltre ai millanta piccoli teatri   sparsi un po’ dovunque in città e nei dintorni,  c’è anche il multisala, un edificio che ospita in contemporanea (proprio come i cinema multisala), almeno una decina di spettacoli teatrali.

Dunque, se si vuol visitare Avignone, occorre tener presente che luglio è il periodo migliore, anche se penso che lo spirito “alternativo” in qualche modo abbia contaminato definitivamente il luogo.
Ecco, ad esempio, mi è suonato strano (ma può darsi sia una prassi diffusa e comune anche altrove, sono ignurante) che le severissime stanze del palazzo dei papi possano accogliere  una mostra di arte contemporanea, “Le Papesse”. 
Il link della mostra è questo.


E’ risaputa la mia caproneria nei confronti dell’arte contemporanea,  e di certo anche stavolta non ho potuto fare a meno di pensare, eccheccazz, ma che roba è.
Mi riservo, una volta finito il diario di viaggio a puntate, e quando  l’ispirazione si sarà impossessata di me,  di dare il mio intuitivo contributo alla scoperta dei sensi riposti in opere di grandissimo impatto emozionale e cerebrale, come queste:

Un uomo

Princi-pressa

Animae
(i titoli delle opere non sono reali, ma illegittamente da me medesma assegnati)


Nimes è una città fuori rotta, ovvero amministrativamente non fa parte della regione Provenza, Alpi e costa Azzurra, ma di Linguadoca- Rossiglione, pur essendo affine, per moltissimi  versi, ad Arles.
E’ conferma di  quanto la questione  dell’artificiosità dei confini amministrativi,  che vale in Italia come in tutti gli altri posti del mondo, sia sempre tale.

Anche a Nimes c’è il colosseo in miniatura – pare che sia quello meglio conservato tra tutti gli anfiteatri costruiti dai romani – e anche qui viene usato come  spazio per manifestazioni e spettacoli, tra cui le corride. 
A Nimes, visitata in poche ore,  ho percepito un senso di grande orgoglio cittadino (noi simm ‘e meglio, tanto per intenderci).
Sarò stata condizionata dal film in 3 D visto alla Maison Carrée, dove in 22 minuti viene ripercorsa la storia di Nimes attraverso le figure dei  suoi migliori cittadini (insomma, 4 o 5 dall’età romana ad oggi).
L’ultimo è il torero Nimeño II, la cui statua in bronzo si staglia davanti all’anfiteatro. 


[Mi chiedo comm’è che gli amministratori napoletani non abbiano ancora pensato di erigere una statua di marmo di Diego Armando Maradona detto el pibe de oro davanti allo stadio di Fuorigrotta, anzi, in mezzo a piazza Plebiscito, re tra i re.]

Quello che davvero vale la pena di vedere a Nimes sono i giardini, e solo i più ardimentosi (lo sono stata!! Con la vertigine costante, la tachicardia, l’affanno, il cuore nelle orecchie, l’ho fatto!!) potranno spingersi fino alla vetta della Tour Magna, che della struttura  romana conserva solo parte degli  esterni,   mentre dentro c’è una spiralissima scala a chiocciola che porta in alto, su una sorta di piccola terrazza a mezzaluna,  da cui si può osservare  il panorama della città. 
(la prossima volta non lo faccio manco se pagano loro a me)
E' bello arrivare ai giardini percorrendo Quai de la Fontaine, un bel viale alberato tagliato da un canale in cui guazzano un cuofano di pesci.
Guardare i pesci, guardare gli alberi.
Guardarli con molta attenzione, magari mettendosi a testa in giù.


(fine quinta puntata e penultima puntata)

sabato 10 agosto 2013

Della Provenza e oltre: Les Baux e Arles (4)

La Provenza  non è solo  lavanda e fiorellini sui tessuti e imposte tinteggiate di viola. 
E’ anche cultura, arte, etc etc. 
(dovrò farmi pagare dall’ufficio del turismo delle provincia francese Provenza, Alpi, Costa Azzurra e da quelli dei vari dipartimenti)

Quarta tappa/puntata: Les Baux e Arles.
Arles vista da Les Arènes

Arles è una città strategica. Ivi facendo base, si possono agevolmente visitare tante località diverse, dalle Camargue ad Avignone, da Nimes a Les Baux. 
Les Baux è quella meno distante (meno di una ventina di chilometri).
Non credevo che esistesse davvero il Signore di Baux, pensavo fosse una menestrelleria di Branduardi, pura invenzione.





(tra l’altro, i  Signori di Baux dal 1600  sono i Grimaldi  principi di Monaco – e marchesi di Baux- , anche se l’amministrazione effettiva è francese, ma ciò spiega   perché vi sia una  targa adulatoria e celebrativa  e commemorativa in una struttura del villaggio che ospita una mostra fotografica)
La canzone di Branduardi è  evocativa, cupa, tesa, misterica e misteriosa.
Les Baux ha poco di misterioso.
Les Baux
E’ davvero un borgo costruito sui sassi, sugli spuntoni di roccia, e da lontano è piuttosto suggestivo vedere i torrioni spiccare sui monti, rocce tra le rocce. 
E' attorniato da un vastissimo parcheggio – il nuovo borgo nomade/meccanico -, e nelle viuzze della cittadella è un susseguirsi di negozi di souvenir e paninoteche e ristoranti. 
Non ci abita nessuno, a Baux.
I signori di Baux spariscono di notte, a meno che non si faccia qualche bella manifestazione. 
Certo, nel momento in cui il traffico turistoide si allenta, e in alcuni vicoletti in cui difficile sarebbe stato piazzare il barettino o il negozietto,  con un certo sforzo, si possono immaginare gli scalpiccii dei cavalli  e i gridi dei falchi ( le iaculatorie dei monaci).

Il castello di Baux è visitabile a pagamento. 


E' anche abbastanza  caruccio (9,50 euro a cranio) la verità, considerando che ben poco oltre le mura esterne restano dell’antico maniero. 
Però  vi sono una serie di interessanti plastici che ricostruiscono la storia  del castello, il modo in cui si è esteso nel tempo inglobando tra le mura il borgo.
A disposizione dei visitatori vi è  anche un'audioguida multilingue che delucida filo filo sui vari edifici e sui resti delle murazioni.
(io non sono riuscita  a percorrere  tutte le “stazioni” , stante il solleone  e la temperatura rovente: una via crucis).

Anche gli orari degli spettacoli, tra cui il lancio della catapulta e il duello medioevale, poco più che delle scenette di animazione adatte ai bambini in un villaggio turistico, naturalmente a bambini parlanti francese, non sono proprio dei più felici. 
Da evitarli in generale, ma da evitare soprattutto quelli delle 13,30  e delle 14,30 a meno di non voler provare il brivido dell’allucinazione.
http://www.chateau-baux-provence.com/en/events/medievales-baux

Anche Arles è una città strana. 
Un ammescafrancesco di stili, l’anfiteatro romano attaccato ai palazzotti provenzali attaccati alle case in cemento armato attaccati alle chiese ottocentesche.
Ha il sapore paradossale di qualcosa quasi in disuso, ma in senso pittoresco e anche picaresco.
E’ fascinosa e talora birbantemente sorprendente.
(penso al moai che fa cucù da una finestra, ai murales, alle varie espressioni della street art)
Anche qui di  sera  per strada c’è pochissima gente, e chi c’è fa un po’ come gli pare. 
(Può essere che dalle 20  alle 22 vi sia il coprifuoco pro cena, boh)
Mi ha impressionato un ragazzo che faceva le acrobazie in bicicletta (bvavò, bvavò!!) nella piazza della Repubblica – La Piazza - , saltando con una ruota sola sui gradini della cattedrale, l’  Église Saint-Trophime,  roteando e capriolando attorno all’obelisco, senza importunare alcuno. 
(i quattro gatti vaganti si disperdevano sul bordo piazza) 
Insomma, la vedo dura per un ciclista acrobata esprimersi così in piazza del Gesù a Napoli, in una calda serata di luglio, ad esempio.
Comunque bella è Arles.
Bello e suggestivo è l’anfiteatro, Les Arènes, che non è pietra morta come il Colosseo de Roma,
ma ospita spettacoli coi cavalli, coi tori, insomma continua a vivere nella e con la città.


Ma sopra tutto mi ha affascinato l’Espace Van Gogh.
Un tempo era un ospedale, quello in cui fu ricoverato Van Gogh quando si tagliò l’orecchio, e dove dipinse, ritraendolo dal vero, il giardino.
Il Giardino è stato conservato così come l’occhio del pittore lo aveva immortalato, con le aiuole colme degli   stessi tipi di piante e di fiori.
Espace Van Gogh




L’Espace Van Gogh è un luogo fricchettone. 
(lo sono anche i visitatori che lì si trattengono)
Ho pensato, a latere, in un attimo di cinismo acuto, che i francesi sanno valorizzare pure le cacate delle mosche.
Non che l’Espace Van Gogh lo sia, però non ho potuto fare a meno di pensare a  quante cose in Italia  giacciono sotto incuria e indifferenza.








(fine quarta puntata. Qui la prima, la seconda e la terza. Coraggio, ne mancano solo due.)

venerdì 9 agosto 2013

Della Provenza e oltre: la terra delle ocre (3)

Apt è una città strana. Carino il centro storico,  pieno di gente, di pasticcerie e confetterie, molto “francese”.
Ma solo fino alle sette della sera.
Poi tutto chiude, tranne qualche ristorante e qualche gelateria.
(fino alle 22 e poco oltre, poi anche quelli…)
Il centro storico di Apt,  in  presa diurna e in presa notturna,  non  sembra lo stesso luogo.
Di sera diventa dominio di extraeuropei, o comunque  di  francesi  immigrati di seconda generazione.
(il francese parlato insieme all’arabo non mente)
Tutti maschi, naturalmente.
Rumorosi, caciaroni.
La volante della gendarmerie sfila veloce tra i vicoli.
(facendomi appiattire sui muri un paio di volte)
C’è qualcosa che non funziona bene in quella cittadina.
Tuttavia, Apt è un’ottima base d’appoggio per visitare la terra delle ocre e i villaggi fluviali.
Il mercato di fiori e frutta del sabato mattina, ben introduce al tripudio di colori  e alla stranezza delle forme di quella terra.  
Melanzane? Dal picciolino si direbbero melanzane.

Le zucchine gialle fanno un certo effetto.




Terza puntata/tappa: Roussillon e L’Isle sur la Sorgue.
La Provenza non è solo lavanda, tessuti a fiorellini e imposte dipinte di viola.

E’ anche fuoco.
Roussillon  nomen omen.
Il rosso, ma anche l’arancio, il giallo, tutta la gamma dei colori ocra, dominano il paesaggio.
Le case del villaggio hanno le pareti tinteggiate in tutte le sfumature e le declinazioni dell’ocra  e nonostante il paese sia pieno zeppo di turisti, vi si respira un’atmosfera slow, calma e pacifica.
Sono le montagne e  la grande spaccatura  che si apre  accanto al paese a fare da   serbatoio per i  colori.




Il canyon di Roussillon  a quelli australiani e americani fa un baffo e mezzo,  per intensità cromatica, per il senso di meraviglia che suscita.
Percorrere il sentiero delle ocre (visita a pagamento, naturalmente), addentrarsi  all’interno del canyon, è davvero emozionante.



Sembra di stare in un quadro, sulla tavolozza di un pittore, su un pianeta alieno, in un altro tempo.
(l’immaginazione galoppa, e non fa manco tanto caldo,  le chiome degli alberi forniscono rigeneranti pause ombrose)



Ad un paio di chilometri dal villaggio, c’è il Conservatoir des Ocres, un museo “esteso”,  che organizza millantanovecento attività.
In francese, naturalmente, e dunque chi può e vuol capire capisca.
Anche senza capire, di fronte all’infinità di colori in vasetti di vetro (la tattilità visiva!) che lo shop (il negozio, per i non parlanti inglese) del museo offre - una varietà che fa impallidire tutti le botteghe di prodotti per belle arti che abbia frequentato -  ho provato il desiderio di fare un’incetta colossale, tale da poter dipingere fino alla fine dei giorni.
Roussillon è il paradiso dei pittori.
(ma anche l’inferno)
Per averne un’idea:


Meno di 30 Km separano Roussillon da 

L’Isle sur la Sorgue.

E’ uno dei cosiddetti “paesi fluviali”,   con una caratteristica particolare:  il centro storico è totalmente circondato da uno dei canali nei quali si dirama la Sorga, sicchè  a tutti gli effetti è un’isola fluviale, e lungo il canale ci sono, funzionanti a tutto spiano, dei mulini, o forse è meglio dire delle ruote idrauliche,  alcune in ferro, altre in legno, alcune ricoperte di muschio, la cui funzione mi è tuttora oscura.
Tali ruote  conferiscono al paesello un che di favolistico.
(dove sono gli gnomi e le fate?)






La Sorgue  ha la sorgente a Fontaine-de-Vaucluse,  un  luogo cantato da Petrarca - chiare e fresche e dolci acque - e dopo averci messo i piedi dentro, non proprio nella sorgente, ma nei pressi, posso ufficialmente dichiarare che a distanza di 700 anni le sue acque sono ancora chiare e fresche, anzi no,  proprio fredde.
Una meravigliosa decongestione dopo  camminamenti feroci.

(il fiume, per una mediterrona come me, non è il mare, ma è talvolta uno splendido surrogato)




(fine terza puntata. Qui la prima e la seconda)

mercoledì 7 agosto 2013

Della Provenza e oltre (2)

Seconda tappa/puntata: piana di Valensole e dintorni.

La Provenza  non è solo  lavanda e fiorellini sui tessuti e imposte tinteggiate di viola, ma ci mancherebbe perdersela, una bella fioritura del profumato arbusto.Anzi, la verità proprio, il tuffo nel mare viola è stato il motore primo del  viaggio.
Un rischio, perché la fioritura avviene tra giugno e luglio, e boh, sarà stato  che l’inverno si è protratto a lungo (pare  impossibile, eh?), sarà che posticipano la raccolta in qualche appezzamento per il piacere dei turisti, fatto sta che di lavanda in fiore ce n’è  un montone. 
Vasti campi che si  inoltrano dal ciglio della strada fin sotto al bosco,  a disposizione dei viandanti. 

Non è facile  fermarsi lungo le stradulelle, soprattutto perché (e chi se lo immaginava) i francesi hanno una guida “sportiva”, ovvero corrono come i pazzi, fanno le curve a recchia  e si azzeccano al paraurti posteriore (alla faccia della distanza di sicurezza), sicchè manco il canzo di mettere le freccia e accostare e oillocò il campo era superato di qualche bel centinaio di metri.



L’immagine più bella, trattenuta solo dalla retina e dal cervello per i suddetti motivi, è quella di un campo di lavanda attaccato ad uno di girasoli attaccato al bosco attaccato al cielo. 
Una successione di colori di una intensità quasi dolorosa, tanto bella. 
Viola giallo verde azzurro, un incanto. 
Entrare dentro un campo di lavanda  è un’esperienza quasi mistica. 
I colori, l’odore, quelli si immaginano. Ma i suoni?
Un zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz continuato,  moltiplicato per il miliardo e mezzo di api e insettume vario. 
I cespugli di lavanda  sembrano  una massa compatta, ma in realtà sono dei filari, in mezzo c’è la terra  su cui zompettano altre varietà di animaletti,  e gli arbustelli fioriti  pungono pure un poco,  i fiori non sono morbidi. 
Insomma, tattilmente è quasi come  toccare il rosmarino. 
Però, cazzarola, che bello sentirsi completamente immersi nel  mare viola. 
La lavanda è un business overamente,  vendono i mazzetti a tre euro l’uno, quando poi ne cresce di spontanea un po’ dovunque.
Certo, sono cespugli selvatici sono  un poco spampinati e rachitici, ma il loro sporco dovere di profumare a vecchiarelli l’ambiente lo fanno uguale.
E i girasoli. 
Magnifici. 
Sono uno spettacolo meraviglioso che ingiustamente passa, rispetto alla lavanda, in secondo piano.

Valensole, la “capitale” della lavanda, vale una sòla.
Insomma, niente di che, a meno che nei giorni della festa della lavanda  non si trasformi totalmente.
Valensole  è l’unico borgo in cui  gli addetti al turista non sono tanto gentili (e manco tanto intuitivi).
Perché è vero che  ne parle pas le français,  ma chiedere in un bar un te freddo, te cold, estathe, insomma, non è una richiesta impossibile da afferrare. 
(come si dirà mai in francese te freddo??)
E invece del te freddo portano l’acqua tonica con il limone. 
Allora si riformula l’ordinazione, te, the, tè, tìì, e chiossape che avranno pensato, che a sud della Francia si è abituati a farsi il bidet nello stomaco nonostante i 35° di temperatura esterna, così, giusto per rinfrescarsi un poco, e portano una graziosa teiera piena di acqua bollente e la bustina da infusione con la sua fetta di limone. 
Graziosa presentazione, non c’è che dire.


A poco più di 40 km da Valensole c’è il paesiello di  Forcalquier. 
Famoso per le fontane, poste per lo più  al centro di vivaci piazzette, oltre la cattedralona ha  una chiesetta abbarbicata (e quando mai) in cima alla muntagna. 
Insomma, val più la pena di fare un bel giretto qui, fermarsi a bere qualcosa, piuttosto che a Valensole. Nei dintorni c’è il priorato di Salagon, un complesso in cui oltre al museo vi sono dei giardini tematici con moltissime specie di piante. 
Anche questo, come Bauduen, occasione persa. 
(ahhh, le scoperte tardive, mannaggia!!)



(fine seconda puntata. La prima  qui )

martedì 6 agosto 2013

Della Provenza e oltre: il Verdon (1)

E’ una delle prime cose che Madame, una collega insegnante di lingua francese,  spiega ai ragazzini: i francesi sono nazionalisti, non usano parole straniere, ad esempio dicono  ordinateur, non computer.
(ma come si fa? persino in Burundi, eccheccazz) 

Effettivamente, fuori da Parigi e dalle grandi città, i francesi parlano quasi esclusivamente francese. 
In provincia però sono molto più gentili e cortesi che a Parigi e nelle grandi città, e dato che non spiaccicano non dico l’italiano, che non è spiaccicato manco dagli italiani, ma neanche un poco di inglese maccheronico,  sono  inclini a parlare con le mani e con i gesti (le orecchie del coniglio, le corna del toro).
E chi non parla francese fa altrettanto, si arrangia come può. 
Pollution de l'air. Levez les pieds.
Questa scritta lampeggiava su un cartellone luminoso sull’autostrada, a Menton, appena varcato il confine.
A me che  ne comprends pas le français,  sembrava volesse dire:
Lavate i  piedi (puzzoni) per non inquinare l’aria. 
Oppure, alzate in alto i piedi (puzzoni) e inquinate l’aria.
A proposito di puzzonerie, ancora non mi capacito sull’assenza del bidet. 
Bidet non è soltanto parola francese.  E’ un  figlio partorito e abbandonato.
(perdona loro che non sanno quello che hanno fatto!!)
Ma ci passo volentieri, sul bideicidio, e pure sul nazionalismo, perché in 10 giorni ho visto meraviglie. 

La Provenza  non è solo  lavanda e fiorellini sui tessuti e imposte tinteggiate di viola. 
E poiché da scrivere ci sta troppo, e pure troppo da ricordare, sperimenterò il resoconto di viaggio a puntate. 

Prima tappa/puntata:  gole del  Verdon e  Moustiers-Sainte-Marie e dintorni.


(si incazzeranno gli abitanti, dipartimento del Var, ad essere chiamati provenzali?)

Il lago di Sainte Croix e le montagne che ivi si specchiano sono un paradiso per  chi ha occhi e per gli amanti degli sport estremi: arrampicate a mani nude, arrampicate con il culo sulla bicicletta in pendenze al 75%, rafting, lanci e tuffi.
Per i mollicci come me, è un paradiso solo per gli occhi:  il massimo dell’estremo è una sfiancata in pedalò, a cui si deve necessariamente  aggiungere il rischio autoscontro (natantescontro?)
Di mollicci è pieno il fiume. 
Però mi aggrada che tutto sia libero, trovi da parcheggiare e ti fiondi sulla riva o sotto un albero, nessuno stabilimento balneare,  nessuna privatizzazione. 
Però dove mi sono fiondata io manco  nessun chioschetto per il beveraggiamento, mannaggia (è assolutamente necessario attrezzarsi , pena il rischio di tuffarsi e bere nelle fresche ma non proprio chiare acque del lago), solo le baracchelle presso le quali, previa lista da attesa (Comme tu t’appelle? Name, name. E poi, con il megafono: Cristine, Cristiiiine,  Luciò, Luciòòòòò!) è possibile affittare i pedalò le canoe i pneumatici da galleggio le tavole da windsurf e relative pagaie. 
(un’ora per il pedalò 15 euro, no scontrino, no carta di credito) 


A Moustiers-Sainte-Marie invece il parcheggio è un problema,  a meno di non voler conteggiare qualche altro chilometro in salita oltre la visita del paesello, tutto arroccato su una montagna, attraversato da fiumicello e cascatella. 
Graziosissimo, affollatissimo, turisticissimo. 
Occorrono poi polmoni d’acciaio e un clima clemente,  non certo i 35° e il sole a spaccapietre, per giungere alla trecentesca  Chapelle Notre-Dame de Beauvoir e al decantato sublime paesaggio che da li  si gode. 
La chiesetta e la stella dorata che congiunge due versanti della montagna li vedrò  da vicino la prossima volta. 
In autunno, o in  primavera , o quando  deciderò di smettere di fumare. 
[Mai. 
Occasione mezza persa.]

E tutto sommato, non val la pena  fermarsi a Les Salles sur Verdon.  
Di centri turistici spuntati  come funghi negli ultimi anni ce ne sono a bizzeffe in ogni dove.
Bauduen invece…
Mannaggia, solo di sfuggita! 
[occasione persa per intero]

(fine prima puntata)