lunedì 8 luglio 2013

Miss Charity



Miss Charity, la protagonista del romanzo –  ispirata da Beatrix Potter,  personaggio realmente esistito di cui non conoscevo nulla se non i suoi disegnini,  di Potter mi sovvenivano solo Harry  & Compagnia - è nata in un tempo sbagliato, quando era SCONVENIENTE per una ragazza, per dirla con le parole della signora madre, studiare le scienze (studiare in generale, tranne che il francese, il canto, il pianoforte), andare ai balli se non per trovare marito, sposare un uomo che lavora per vivere  e soprattutto  lavorare per vivere. 

La respectability di età vittoriana.


Tuttavia, prima ancora che lo auspicasse Virginia Woolf,  Charity riesce ad avere  una stanza tutta per sé.
Da bambina era la nursey, che condivideva con bestie e bestioline , non solo coniglietti e anatre. 
Zoccole.
Topi e ricci (le  mancavano solo gli scarrafoni) per riempire la solitudine 
“E poi ripenso a voi, Signora Passettini, a voi che avete salvato quella bambina dalla follia, perché con i vostri occhi come chicchi di caffè, i vostri baffi sfrontati e il calore del vostro corpo, eravate semplicemente la vita, la Vita.”
Amici che animerà con gli  acquerelli e che grazie alla doppia  regola delle tre S – “Sterline, scellini, soldi” e “… Studio, Saggezza e Sacrificio. Lo studio e l’applicazione svolti con la saggezza dell’esperienza e che poggiano sul paziente sacrificio del lavoro.”  -  la renderanno, forse, indipendente e  libera. 


Di Marie-Aude Murail avevo già letto due libri deliziosi, immediatamente infilati nella lista letture dei miei ragazzini.
Ha una mano lieve e ironica, la Murail. 
Charity, la voce narrante, è un personaggio intenso e affascinante  e anche il modo in cui racconta, intessendo  il ricordo in prima persona con “stralci liberi” di conversazione, quasi come in un copione teatrale, è vivido e accattivante.
Così:
“Da diversi anni, e forse da quando ero nata, mamma si aspettava di vedermi finire zitella. La notizia del mio matrimonio l’avrebbe certamente sconvolta. Decisi di procedere per tappe, all’ora di cena. 

IO
Sarete sicuramente felici di sapere che ho ricevuto una proposta di matrimonio, oggi.

MAMMA, totalmente incredula
Ma sentiamo!

Per l’effetto della sorpresa, papà aveva appoggiato le posate. 

IO
Forse desiderate conoscere il nome dell’imprudente che aspira alla mia mano?

PAPA’
In effetti.

IO
Si tratta di Mr Marshall King
[…]

IO 
Non è un librario, mamma, è qualcuno che pubblica libri.

MAMMA
E che li vende! E’ qualcuno che si guadagna da vivere vendendo i libri! Albert, dite qualcosa!

PAPA’ 
Credo che facciate confusione tra libraio e editore.

MAMMA
Uno o l’altro, è comunque uno che si guadagna da vivere.

Ebbe un brivido

MAMMA
Sento che sto per svenire. Chiamate Gladys. "


La Murail riesce perfettamente nell’intento di reinterpretare  una certa letteratura   “al femminile”, come è esplicitato nell’aletta di copertina -  “Un omaggio a Jane Austen, un romanzo per ragazze di ogni età” -  attraverso  la  figura forte e fragile di Charity,  capace di travestirsi da uomo ed entrare in una fumeria di oppio ma anche di sospiranti svenimenti,  e attraverso tanti altri  interessanti personaggi (Tabitha la folle, Ulrich e Mr Ashely, il cuginato) agenti su un  tessuto sociale e culturale di notevole concretezza, pur se abitato da pindarismi – far convergere nella vita di Charity  sia Bernard Shaw che Oscar Wilde, ad esempio.


“Noi abbiamo, in quanto editori per la gioventù, una missione sacra, Miss Tiddler. Perché i nostri libri devono sì sedurre i nostri piccoli lettori, ma per meglio preparare i loro animi al Bello, al Buono,  al Bene.”
Nonostante non siano categorie universali,  ma dettate dalla cultura e dalla società, mi sembra che anche il libro della Murail  risponda alla regola delle tre B.

Tuttavia. 
Non mi piacciono i “libri per ragazze”,  ne  scoraggio la lettura in ogni modo. 
Non  credo di inserire Miss Charity  nella lista di libri consigliati ai miei alunni, come ho fatto per  Oh, boy e Mio fratello Simple, perché  non immagino nessuno dei miei ragazzini leggerlo con piacere.
(Già lo vedo,  Pasquale il lettore, a sbuffonchiare e borbottare)

Ma le contraddizioni sono la linfa dell’animo umano, e  non posso negare  che alla ragazza della mia età che sono io,  sia  piaciuto parecchio.
(lo suggerirò in via informale solo alle femmine)

sabato 6 luglio 2013

I hate shopping

Detesto lo shopping. 
Lo detesto in tempi di pace ma soprattutto in tempi di guerra, in tempi di saldi.
Che poi, tra le miliardate di offerte promozionali, di sconti straordinari e generici o abituali e ad personam, il saldo che è?
Allodole, allodole. 
Tranne per i  negozi  a cui non posso accostare né prima né dopo – una magliettina  passa da euro 260 a euro 210,  da briscole a bruscoline, sticazzi che differenza! – ho sempre l’impressione di veder spuntare i rimasugli dal cascione.

Detesto lo shopping. 
Misurare, provare, indossare: depressione. 
Sono impietosi, i camerini, con le luci sparate e gli specchi che  rivelano ogni grammo di cellulite, che esplorano l’intera grafia venosa, che evidenziano in triplice prospettiva il peso della gravità. 
E magari  pure ti capita il culo di adocchiare, tra tanti capi demodè o difettati,  un vestitino caruccio, uh, che delizia. 
Lo è soltanto appeso alla gruccetta però,  dato che la prova camerino dimostra che non è tutto oro quello che luccica. 
Insomma, meglio dir così che immaginare quanto sarebbe bello esser secca secca, un’esperienza possibile tanto quanto essere maschio. 

Detesto lo shopping. 
Adoro il mio rassicurante armadio di paperino.