venerdì 21 settembre 2012

Ombre



Il gioco delle ombre cinesi era uno dei pochi che facevo coi miei fratelli, quando il lumino rendeva meno buia la stanzetta, di notte.
Le ombre di aquila, coniglio, cane erano quelle che intrecciando le dita mi venivano meglio.
Mi divertivo, io.
Non i miei fratelli.
L’aquila e il coniglio  si trasformavano  sempre in cane che magnava le loro manine.



Le ombre fanno paura, tranne quella mobile di Peter Pan.
Inquietano  anche se affascinano: appartengono al regno dell’indefinito.
Le ombre possono generare mostri.
Per questo è doppiamente straniante l’uso delle ombre che invece fanno due artisti in cui sono incappata gironzolando su internet.



Anzi, più che straniante, intimamente angosciante.
L’ombra perde il suo connotato pauroso nel momento in cui si riconosce l’oggetto che la genera.
Ciò non succede con le ombre “tranquillizzanti” di Tim e Sue, ombre dai contorni riconoscibilissimi – uomini e donne, profili di città, motociclette.
E' ciò che le genera ad essere mostruoso.




Munnezza.



Grovigli di rifiuti,  mostri prodotti dall’opulenta società del benessere.
Il ribaltamento di senso rispetto all’archetipo che l’ombra ha nell’immaginario collettivo sembra totale, ma non lo è.
Le ombre fanno sempre paura. 

sabato 15 settembre 2012

Idioti e piedi, santità e maledizioni.



“Questo che segue è il calendario di un mese; ogni giorno porta la vita di una specie di santo, che patisce e gode come i santi tradizionali. Poi il nostro mese finisce, perché a questo mondo tutto deve finire, anche le nostre brevi vite di idioti.
Che mese sia quello che viene dopo, nessuno con sicurezza lo sa; se in prevalenza ad esempio si dovrà ridere o piangere, se saremo soli o in una gran compagnia. Ci sono solo supposizioni. Alcune impressionanti.
C’è chi sostiene che il mese che segue non finisce mai più; è un’idea stravagante, e solo a pensarla ci si sente già stanchi.
C’è invece chi dice che si ricomincia sempre da capo, forse su un altro pianeta; ma ogni volta l’umanità è di un gradino più idiota. Finché in un lento progresso, di pianeta in pianeta, si giunge all’assoluta e totale idiozia, in cui nessuno ricorda più niente, neanche le cose più elementari, come ad esempio sentirsi qualcuno diverso da un sasso o da un meteorite. Questo sarebbe lo stato beato.
Qualcuno ha detto che è uno stato somigliantissimo al piombo.”

E’ la dedica al lettore che precede le Brevi vite di idioti di Ermanno Cavazzoni.
A leggere solo questa, assieme alla quarta di copertina, magari appoggiati allo stipite, in piedi, in libreria,  è capace che si faccia  uaaaa, perché è una premessa  pregna di stimoli e suggestioni. Invece i racconti non sono stati all'altezza delle mie personali aspettative. 
Tranne pochissimi, in generale non m’hanno fatto né caldo né freddo.
Anzi, a dir la verità m’hanno fatto un poco ammosciare.

“C’era un tale che si riteneva scrittore realista.”
“Una donna grassa di nome Paola Parletta aveva ogni tanto una forte diarrea.”
“Un idiota di nome Sereno Bastuzzi viveva dentro  a un pagliaio.”
“C’era un signore impressionato dalla velocità a cui va la Terra.”
Sono alcuni incipit. Sembrano o non sembrano incipit di limerick ?
Ecco, a me sono sembrati tutti dei limerick in prosa, soprattutto per l’intimo non-sense che li accomuna.
Gli estimatori di questo genere li troveranno gustosissimi.
Io no, fatta salva qualche eccezione.
Il martire dei piedi, ad esempio, il dottor Dialisi.
Un idiota super.
S’accatta un paio di scarpe accussì strette che per cercare di allargarle non se le toglie più, ma quelle, che cotiche erano e cotiche rimangono anche dopo tre anni di sofferenza ininterrotta, gli fanno marcire i piedi, portandolo alla morte.
“Ma il dottor Dialisi aveva maturato alcune idee generali sull’uomo e sulla predestinazione: la testa ci è data per potere pensare – diceva – la bocca per respirare; le braccia e le mani per abbracciare e accarezzare gli oggetti; le gambe, volendo, per camminare; e i piedi, così esposti e sensibili, ci sono dati per tenere a freno l’orgoglio, l’invidia e la concupiscenza; altrimenti avremmo gli zoccoli , come i cavalli.”
Le scarpe diventano il perno della sua vita morale: tiene  a freno i piedi attraverso la sofferenza, e sarà santo (pensa, l’idiota)

Mò, se diventassi idiota, santificherei questo fetente di  callo che manco con l’accetta se ne viene via e mi voterei ad una ascetica e moralmente notevole esistenza.
Ma non ci sta pericolo, spero.
Nel frattempo butto maledizioni a destra e a manca e confido in un podologo che sappia fare il suo mestiere.

giovedì 13 settembre 2012

Da una parte e dall'altra.


Te ne vai o no te ne vai sì o no, canta una madre saltellante e gaudente  spingendo suo figlio non solo metaforicamente, nel mare magnum che fa ressa davanti ai cancelli della scuola.
Tutti, ma proprio tutti i bambinetti , altezza media 1,30 centimetri,  hanno la cartella a tracolla al posto dello zaino (ma come faranno a passarsi voce  così velocemente, e poi in branco compatto a seguire la moda, hai voglia a dire  il peso non si distribuisce bene, ti si torce la spalla, si piega la colonna vertebrale,  la risposta è: lo zaino è per i piccoli, è da bambini delle elementari)
Primo giorno, accoglienza esclusiva degli alunni che iniziano il secondo ciclo.
Lungo il viale d’ingresso, come lampioni, i docenti disposti  in fila, distanti  circa 5 metri  l’uno dall’altro,  accolgono l'ondata di genitori e relativa prole, sfoderando sorrisi  smaglianti e buongiorno e buon anno:  mancano solo i pon pon e le trombettine.
(non mi sarei piegata a fare la  profcheerleader  manco se me l’avessero  imposto con un ordine di servizio scritto)
Ammassati in palestra, i genitori attendono frementi di conoscere il destino dei propri pargoli:  gli elenchi sono stati tenuti segreti onde evitare lamentele e piagnistei,  richieste minacciose di cambi di sezione prima dell’inizio della scuola.
(tanto ci saranno sempre dopo)
Prima di  procedere  all’assegnazione degli alunni alle sezioni, si ascoltano, nell’ordine: il discorso della preside – applauso  – il discorso del sindaco – applauso – il discorso dell’assessora – applauso – il discorso del vicepreside a nome di tutti i docenti - applauso .
Tutti discorsi incentrati sui cittadini di domani.
Tutti terminanti con auguri ai cittadini di domani.
Intanto è già passata un’ora.
Ed ecco  la Sorpresa. 
Alcune giovanissime cittadine di domani  mostrano alle matricole e ai parents  il meraviglioso progetto a cui hanno partecipato lo scorso anno: sulle note di tammurriata nera, in gonnellino  coprimutanda e panza nuda si esibiscono  in danza del ventre e  coreografico balletto, alè, uè, uè.
Le cittadine di domani.


La mia scuola è differente.
Oggi, secondo giorno, autotassazione  e colletta per dipartimento per fare le fotocopie  dei test d’ingresso da somministrare agli alunni.
Ovviamente la fotocopiatrice è rotta, ma anche se non lo fosse stata, il toner, la carta, quante pretese, non le potete dettare le prove d’ingresso? Le dovete fare per forza?



domenica 9 settembre 2012

Mas, Anversa.


Il Mas  è un museo il cui acronomino  manco  google translate riesce a tradurre.
Museum aan de Stroom.
 E’ stato inaugurato  nel 2011, ad Anversa, nella zona portuale.
E’ un museo particolare: etnografico, antropologico e marittimo, dicono qui
Mi ha riportato ad una vita fa, quando volevo fare l’antropologa e/o museografa.
(astronauta mai)
Mi ha spinto a  ripescare tra i reperti storici della stanza delle memorie a casa di mammà i fascicoletti della tesi di laurea.
(marò, e che bibliografia immensa, cazzarola, facevo sul serio. Minchia, che terribile fine fanno i titanici sforzi. Tra la polvere)
Tutte quelle che erano  entanni fa le teorie più avanzate su cosa e come debba essere un museo di civiltà le ho viste concretizzate nel Mas.
Senza stare a peliare con le citazioni bibliografiche (e mò saranno pure obsolete,  tant’è, il tempo del sapere si fermò poco dopo),  e prima che mi torni lo sturbo da fallimento di ideali, ritorno coi passi della memoria alle impressioni della visita.
Sbucando da una strada laterale, il gigantesco fungo rosa con le  vetrate  a canna d’organo ha un impatto visivo straordinario.
Immagino la goduria degli architetti.
La struttura, che riempie buona parte della darsena, non è costituita dalla sola  torre. Vi sono una piazza, degli edifici coi porticati e sullo scivolo vascello in legno giocano bambini accompagnati da madri in minigonna e da madri in burka.
La caffetteria al piano terra, almeno negli spazi aperti,  è affollatissima.
Il biglietto, concretizzato da un braccialetto di carta che le hostess del botteghino  chiudono attorno al polso dei visitatori paganti, permette l’accesso ad alcune sale.
Per il resto, l’entrata è libera.
Al nono piano c’è un ristorante, e al decimo la terrazza panoramica.
Ho pensato che per guardare il panorama della città a 360°, a Parigi si può salire sulla tour Montparnasse, pagando  13 euro per farsi schizzare in alto da un ascensore ultramoderno.
Vabbuò che sono un’esagerazione di piani, però.
Al  Mas,  il panorama della città è bene pubblico gratuito.


Al secondo piano della torre, accesso free,  stoccati  in vetrine, in scaffali protetti da griglie di metallo, in cassetti e mobili apribili, ci sono oggetti che non hanno  trovato ancora una  collocazione museografica.
(un'enorme quantità)
C’è la qualunque: armi, acquerelli, teiere, maschere tribali, burattini, vasi, carte geografiche, giocattoli,  manufatti artistici e artigianali di ogni genere e provenienza,  diligentemente inventariati ed  etichettati.
Non ci sono polvere e ragnatele, né segreti.
Il deposito visibile a tutti.
(Uammamà.)



Al primo piano  vi è la sala delle esposizioni temporanee che  ospita opere di  artisti contemporanei.
In realtà tutte le pareti interne degli spazi  non espositivi  del museo sono “graffittate”,  anche quelle che costeggiano  le scale mobili.
(sarei rimasta ore a guardare di piano in piano i murales da un lato e la città oltre i vetri ondulati – in alto ma come sotto il mare - dall’altro)
Poi  ci sono gli spazi museali veri e propri, quelli a cui si accede solo se portatori di braccialetto.
Ogni piano della collezione permanente apre ad  percorso tematico:  Simboli del potere, Porti del mondo e comunicazioni (il Mas ha acquisito la collezione del museo del mare che era all’interno del castello di Anversa), Città e case,  Vita e morte.
Gli oggetti rappresentano  luoghi e tempi diversissimi e gli allestimenti  sono di forte impatto emotivo e scenografico.
Ad esempio, al quarto piano, il percorso dedicato ai simboli del potere e del prestigio,  comincia in uno spazio circolare in cui schermi al plasma rimandano immagini del potere dell’ultimo secolo, dalle facce di Kennedy e di Breznev, alle marce delle SS, alle riprese documentarie delle guerre del Golfo, in un turbinio e  sovrapporsi angosciante di  voci e rumori e immagini.
Tra i simboli del potere, la collezione espone anche i braccialetti di conchiglia dei kula delle isole Trobriand.
Alla fine del percorso, ogni sala ha delle postazioni pc dove è possibile fare ricerche e approfondimenti sugli oggetti esposti, una libreria con testi specifici sul percorso fatto (ma  anche libri illustrati o di favole per bambini annoiati ma diligenti) e comodi divani.
E ancora degli spazi ludici:  al piano dedicato ai porti e alla comunicazione,  è possibile scrivere un messaggio e metterlo in una bottiglia da lasciare, all’uscita, in grandi vasche contenenti sabbia.
Messaggi, ça va sans dire, tutti in neerlandese.
Questa è l’unica nota dolente. 
La lingua. 
Va bene che è un museo della e per la città.
Va bene che i fiamminghi ci tengono assai alla  propria specificità linguistica.
Però, cavolo, almeno in un museo così attraente anche per chi viene da fuori, oltre ai depliant d’ingresso, si dovrebbe prevedere la traduzione delle note che “spiegano” oggetti e allestimenti, non dico in tutte le lingue, ma almeno in inglese, ecco.
Altrimenti vedi, guardi, fai ohhh, e non capisci manco alla lontana che è.







Come capita di fronte a questa saletta,  incastrata nel percorso sui porti, tra velieri e  carte nautiche.
















domenica 2 settembre 2012

Ceci n’est pas la Belgique.

Se non ci fosse stata la mia amica italiana belgizzata per amore  e  grande sponsor di quel paese così poco reclamizzato, non ci sarei andata mica, in Belgique.
Ha ragione, la mia amica, quando dice che è un paese bellissimo (uno di quelli dove si vorrebbe abitare), e che non è affatto come può sembrare alle orecchie e agli occhi di chi non c’è stato e non ci vive.

Già solo il pensiero  che a Bruxelles c'è il centro nevralgico delle istituzioni dell’Eu, me lo faceva immaginare ingessato e assai assai formale.
(il paese dei burocrati)
Invece è proprio magrittiano.
(Magritte è davvero lo spirito de la Belgique)
Surreale, per certi versi.
In ordine sparso, alcune impressioni:

Museo del fumetto.
O meglio, il  pupazziello che lo segnala nel boulevard dove sono concentrati gli uffici amministrativi, tutta roba di vetro e cemento, palazzi modernissimi, rigorosi e squadrati.
Il pupazziello  piazzato lì, su un piedistallo, fa un effetto fortemente straniante.
(come mettere il museo di Pulcinella e relativa maschera nel mezzo del centro direzionale di Napoli, marò)

Moules.
Non è tanto per la cozza in sé, non mi fa  specie manco la quantità, sono cresciuta a zuppa e ‘mpepata, ma è per la presentazione.
Le moules te le portano dentro un pentolone con un coperchio fondo fondo che  viene utilizzato come contenitore dei gusci vuoti.
Magnare dentro il pentolone,  pescare le cozze nel brodo fino giù in fondo.
Con le mani, naturalmente.
La magnata delle cozze comporta l’inzevamiento delle dita e di tutto il resto.
E va bene così, anche nei bistrot chic.
(surreale!)


Cozze e  frites (ovvero le patate fritte, accompagnamento obbligatorio delle moules) stanno dovunque, pure tra gli allestimenti del parco davanti al palazzo reale.


Fiamminghi e valloni.
E’ bene informarsi del nome che hanno i luoghi nelle due lingue, altrimenti si rischia di prendere il treno da Bruxelles per Anvers e arrivare ad Antwerpen senza accorgersi che è la stessa città.
Dai cartelli e dalle indicazioni in francese si passa a quelli in neerlandese senza alcuna transizione o doppia lingua e viceversa.


Case.



Tutte con le facciate curatissime, quelle più antiche con i tetti a punta e a scaletta (ma chissà a cosa servono, i gradini sui laterali dei tetti), le case fiamminghe hanno conservato la struttura tradizionale attraverso il tempo.
Strette e lunghe, anche se modernissime. E’ la facciata a parlare.
Ci sono alcuni edifici  liberty che sono una meraviglia, come quello in foto, una delle case più strette della città,   che si vende  a solo unmilioneduecentomilaeuro: peccato, mi manca il  dispari. E anche il pari.
(naturalmente il giovanotto non è compreso nel prezzo)
Altrimenti, eh, cavolo, una lotteria, un gratta e vinci. Un sogno.






Cioccoielleria Marcolini.
Nei negozi di souvenir di Bruxelles i cioccolattini (industriali) si contendono il primato di sovraesposizione con il Manneken pis (altra stranezza, l’attenzione e l'affetto dei belgi per una statuetta piccolina piccolina di un bambino che fa pipì  e in tal modo alimenta la fontana su cui è piazzato. Un bambino che piscia! Il simbolo di Bruxelles!!)



Però ci sono le cioccolatterie artigianali che fanno tutt’altra cioccolata (marò, 800 chili in più) e sopra tutte la Pierre Marcolini.

Un palazzo d’epoca, bellissimo, e delle vetrine che manco Bulgari. La pralina come un diamante, un solitario.
(e i prezzi pure, ahemm. Vabbuò, in certi casi meglio non andare troppo per il sottile. O intenditore o golosone. Non si può essere tutte e due le cose, a meno di un biglietto della lotteria, di un gratta e vinci…)



Mim.
E’ il museo degli strumenti musicali, di ogni specie e foggia e provenienti da ogni parte del mondo Impressionante vedere quanti oggetti strambi siano stati creati per fare musica.
(ma che, quel coso suona?)
La visita si fa con le cuffie consegnate all'ingresso, e  automaticamente vengono riprodotti  i suoni di alcuni degli strumenti esposti, mentre si passa davanti le vetrine che li contengono.
Il piano terra è dedicato agli strumenti provenienti da ogni parte del mondo, mentre gli altri piani sono più “specialistici”,  strumenti musicali a corde e ad archi a mappate.
Più per intenditori che per curiosi, i piani alti.
Però anche il solo edificio, un meraviglioso palazzo liberty, val la pena. (e poi è a pochi passi dal museo Magritte, altra delizia)

Affreschi murali, installazioni, graffiti.
Ce ne sono tantissimi.
Da quelli di Hergè, il creatore del Tin tin nazionale, che occupano intere facciate di edifici, fatti, dice la mia amica, per riqualificare zone piuttosto smorte (e insomma, smorte), a quelli di artisti contemporanei.
Qui c'è un interessante scheda sugli affreschi murali.)
Ma ciò che mi ha impressionato è la tolleranza (tolleranza non è la parola giusta, ma comunque) verso certe manifestazioni artistiche piuttosto irriverenti.
Ecco, ad esempio mi chiedo se in Italia le Assicurazioni Generali avrebbero accettato di mostrare sul proprio edificio, sotto il simbolo e il nome, un murales così, lo scheletro di un animale che si magna il piccolo mannekel sulla nuvoletta.
Un artiglioso animale preistorico che incombe su Bruxelles.


E poi Bruges, Anversa.
Anzi, Antwerpen.
Ad Antwerpen, il Mas ha risvegliato ricordi di una vita fa.
Un’altra volta.
Un’altra volta anche in Belgio, però. Che strano e silenziosamente dirompente paese.