lunedì 28 maggio 2012

Stips

Non capisco cosa ci sia da vergognarsi.
Sin dai tempi della dolce euchessina (marò, che vintagità), presentatori e presentatrici  tivvù hanno associato la propria faccia alla mano sulla panza e  ai relativi traslati, tanto è vero che, ad esempio, ora per me lo yogurt  che serve a combattere la stipsi, quello con bifidus actiregularis,  è biondo, ha i capelli lunghi e si chiama Alessia.
Epperò.
Posso comprendere che andare in farmacia per comprare non un rimedio blando e vago ma uno  meccanico di efficacia  immediata  possa essere per qualcuno un problema.
Vabbuò, ci vado io in farmacia, che sarà mai.
Se ci fosse stata meno gente che alla fermata della metropolitana, sarebbe stato meglio.
E ancora meglio sarebbe stato se il farmacista non mi avesse guardato ammiccante e chiesto:
“Classico?”
Come classico, che significa classico, come può mai essere un clistere?
Postmoderno, a pois, profumato, a forma di…
Mica avrà pensato  che…
(urca che zozzone)
Ecco.
Ora capisco  che ci si può mettere scuorno anche senza motivo.

lunedì 21 maggio 2012

Flash mob

"Al mio segnale scatenate... la lettura!"
Questo roboante invito era sui manifesti a tappezzare le strade del paesello, anzi, come dice  il poeta ipocondriaco, del paese gigante.
Flash mob.
Ripetizione di un  flash mob avvenuto quasi un anno fa per lo stesso identico motivo, ovvero sollecitare l'apertura di una biblioteca comunale.
L'ho scoperto dopo. 
Quello era "Al mio segnale scatenate...la cultura!" 
[il gladiatore spopola et docet, basta cambiare la finale]
Chiossapeva, allora  i tappezzieri  avevano lavorato poco, forse.

Vabbè, ad un fash mob non avevo mai partecipato, ne avevo visto uno  consistente nell'attraversamento continuato della strada da parte di una trentina di pedoni, ai fini del blocco del traffico, come forma di protesta, atto dimostrativo contro l'apertura della discarica.
(e può mai impedire la polizia di attraversare avanti e indietro la strada? se il traffico si blocca, eh, problemi collaterali ma assolutamente necessari)
Insomma.
Mi dico mò vado a fare il flash mob pure io, prima firmo la petizione (eccheccazz, le biblioteche comunali ci sono pure in Uganda, poi si dice ahhh, i pdf piratati, lo scarico illegale dal mulo, etc etc), e poi posso dire  urbi et orbi che ho fatto il flash mob.

Nella villetta comunale ci sono i bancarielli  di un'associazione, quelli di una casa editrice (è pur sempre il mese del libro), quelli dell'agenzia di animazione; ci sono gli assessori, le mamme con i bambini nei passeggini, i bambini sulle giostrine, i bambini che schiattano i palloncini, i papà con altri papà,  una ventina di ragazzini che si fanno le postegge.
E poi ci sono gli organizzatori, con il gazebo per le firme e i microfoni. 
I giovani del ** e i loro papini e padrini.
Un manipolino.
(Tolte le sopra indicate categorie familiari et cazzeggiatrici, restano una cinquantina di persone, tutte note tra di loro, e l'estranea, ovvero moi.)
Firmo.
Aspetto, leggiucchiando un libro, per davvero, non in modo simbolico così come dovrebbe avvenire per l'evento, che la manifestazione inizi. 
Si comincia, anche se con notevolissimo ritardo.
Un preambolo infinito,  minuti e minuti e minuti di chiacchiere chiacchiere chiacchiere di quelle che vorresti avere la cera nelle recchie per non sentire:  la biblioteca per dare un futuro ai giovani (??? come se i vecchi e i maturi e i medi non avessero bisogno di ) - noi sindaco avevamo individuato nella vecchia chiesetta la sede ideale ma poi ostacoli burocratici ... (non è neanche sconsacrata - che acume) - la giovane scrittrice "salve sono una scrittrice esordiente chi legge i miei scritti sa che mi occupo di giovani"..., e bla e bla e bla la segretaria provinciale dei giovani del ** , " perchè il cambiamento, perchè la società civile, perchè l'impegno... ".

A botta di chiacchiere si è fatto proprio tardi, con tutta la buona volontà e la pacienza e la santa sopportazione, altre vongole richiedono la cottura altrimenti mi muoiono soffocate nella busta,  arrivederci e grazie, il flash mob lo faccio un'altra volta.
(E pure la partecipazione alla società civile)

lunedì 14 maggio 2012

Malacqua - Pugliese Nicola


Malacqua, nel dialetto partenopeo, significa che le cose si mettono male, che non si prevede niente di buono.

Malacqua è anche il titolo dell’unico romanzo di Nicola Pugliese.
[Un solitario]
E’ una grande metafora della condizione “interiore” della città, e non poteva esserci sfondo più calzante di una pioggia continua e ininterrotta che per 4 giorni sembra far presagire un rivolgimento, una trasformazione, un cambiamento radicale.
Il  libro è introvabile. 
Stampato nel 1977 e mai più ripubblicato, è diventato un pezzo da collezionisti, tanto  che su ebay si vendeva a 50 euro.
Venduto. Non l’ho comprato io. 
Ho una copia prestatami da un’amica.
Mi sento quasi introdotta in una sorta di setta iniziatica. 
Chi ha letto Malacqua, chi non lo ha letto.
(del possesso in sé non so cosa farmene)

E’ un libro di sensazioni, filtrato attraverso situazioni che mescolano la quotidianità più trita a fatti surreali, immaginifici: ombre, frenesie.
La trama, il racconto di quattro giorni di pioggia nella città di Napoli in attesa che si verifichi un accadimento straordina…,  si sfrangia in una serie di camei che descrivono i pensieri e gli atti di gente comune, colta nel momento del dolore,  dell’incertezza, dell’inquietudine,  mentre la città istituzionale  è impegolata nel solito scaricabarile o in incomprensibili quanto mestamente accettati provvedimenti: ne era stata inquietante anticipazione  il Piantonamento del Mare da parte delle Maggiori Autorità Cittadine , il 5 agosto,  con conseguente fuga del mare a cercare i piedi degli scugnizzi a cui era stato negato il tuffo dallo scoglio, fin sopra Montediddio.
Ora, nei giorni della pioggia che produce voragini e crolli, le Maggiori Autorità Cittadine si impegnano in  cacce a fantasmi,  bambole - la bambola che urla nascosta sotto gli scanni di una sala del Maschio Angioino  -  o in manifestazioni e attività roboanti, quali il Primo Giorno del Canto in onore delle monetine da cinque lire che suonano alle orecchie delle bambine di dieci anni.
“Per queste strade nascoste umide della città altro non sopravviveva che l’attesa, e provvisorietà sconcertante infida scendeva a incidere i pensieri e niente scampava, niente tranne che questo senso disperato e triste che adesso probabilmente ogni cosa sarebbe mutata.”

C’è un unico personaggio che ritorna, apre e chiude il racconto: Andreoli Carlo, giornalista.
E’ Nicola Pugliese, Andreoli Carlo. 
A cosa serve parlare di ciò che non si riesce a capire e a spiegare? 
Faceva il giornalista, Nicola Pugliese. E’ morto ad aprile, nel suo ritiro ad Avella. 
Era scettico riguardo la ripubblicazione del suo libro. 
(ma che parlamme a fa, sempe de stesse cose, pe' ce ntussecà e nun ce 'ncuntrà ogne vota, c'arraggia 'ncuorpo e chi jesce pazzo tutt'e juorne pe' capì) 




Poi si dice rassegnazione, poi si dice è malacqua, poi si dice adda passà ‘a nuttata, poi si dice… 
Era il 1977.
Ma accussì è.
Sempre è stato e sempre è.


Chissà se adesso il libro verrà ripubblicato, oppure mantenere il mito dell’introvabile (l’aura che manca nell’era della riproducibilità tecnica) verrà considerato  più conveniente.





giovedì 10 maggio 2012

Il gioco del mondo

Quanto si può aggiungere e togliere  senso ad un'immagine, pensavo.
Ermeneutica, ovvero dell'interpretazione.
(Mi innamorai di questa parola, subito, appena ebbi ne ebbi interpretato il significato, fuori dalla filosofia e dai manuali.
Nessuna verità data per sempre)


"Forse l'Eden, come lo raffigurano i più, è la rappresentazione mitopoietica dei brevi attimi fetali che sopravvivono nell'inconscio. All'improvviso capisco meglio lo spaventoso gesto dell'Adamo del Masaccio. Si copre il volto per proteggere la propria visione, ciò che è stato suo; conserva nella minuscola notte delle mani l'estremo paesaggio del suo paradiso. E piange (perchè quel gesto è anche quello che accompagna il pianto) quando si accorge che è inutile, che la vera condanna è ciò che inizia: l'oblio dell'Eden, ovvero l'uniformità del gregge, l'allegria sporca e misera del lavoro e del sudore della fronte e delle ferie pagate."

Cortàzar - Il gioco del mondo (Rayuela)


Epperò. 
Che Adamo pianga perchè la vera condanna è l'oblio dell'Eden, ovvero l'uniformità del gregge, sta bene.
Che la vera condanna sia anche  l'allegria sporca e misera del lavoro e del sudore della fronte e delle ferie pagate, potrei pure pensarlo, ma non oserei mai dirlo davanti ad un amico che ha appena ricevuto la lettera di licenziamento.


mercoledì 2 maggio 2012

In memoria

Anobbio alfa sta morendo.
E' diventato uno gnommero troppo gigantesco per poter permettere agli utenti di  fare i porci comodi propri, utenti che bellamente si scambiano opinioni, confidenze, sfottimenti, libri, indirizzi e pdf.
E gggià, 'cca niusciuno è fesso, avranno detto in cantonese ad Hong Kong, niente banner pubblicitari, niente monitoraggio di gusti, niente  spam, niente pagamento del canone,  troppo bella 'a zezzenella.
aNobii cede alla logica del mercato e con la versione beta si trasforma in gigantesca vetrina d'achat.
Le funzioni social migreranno (spero di no, ma lo penso)  sul grande occhio di feisbuc.
E in memoria (sto vendendo la pelle dell'orso prima che sia morto, vabbuò, facciamo che è un esorcismo) di quello che è stato il primo monolocale nel grande condominio della  comunicazione virtuale, voglio riportare a piccoli passi, a ritroso, i mementi di lettura di alcuni libri grazie ai quali sono nati scambi di idee, di pensieri, di ricordi, di racconti, di confidenze: virgultini di amicizie. 
E poco importa che non tutte siano fiorite, siano sbocciate, o che qualcuna si è disseccata per la scarsa cura.
Ci sono state e mi hanno dato.
Mi hanno dato molto.

Montedidio - Erri De Luca
Quando scopri qualcosa di straordinario, magari dopo aver percorso un tratto non breve, ti domandi come sia stato possibile non averlo notato prima. Lo avevi sotto gli occhi e non eri mai riuscita a vederlo. 
Questa è stata la sensazione che ho provato dopo solo un paio di pagine. E una puntina dolorosa, perchè davvero non conoscevo Erri De Luca. 
Un libro solo è come una rondine. Non sempre annuncia la primavera. 
Però Montediddio è davvero straordinario. Un racconto di formazione. Di crescita. E la crescita è una perdita. La perdita della madre, primo doloroso passaggio, poi, la perdita del bùmeran, che modellava i muscoli del corpo fino a farli diventare vibranti e gonfi, la perdita della figura simbolica di Don Rafaniè, il mentore, vittima sacrificale scampata all'olocausto che conserva la sua innocenza fino a spiccare il volo. E mentre bumeran e Rafaniè spiccano il volo, il ragazzo che diventa uomo afferra l’ombra alle spalle di Maria, e la butta via, la butta via così duro che vola, vola di sotto, vola dalla terrazza di Montediddio. 
Ecco che la sua crescita si è compiuta. E’ diventato uomo e ha perso l’innocenza. 
Questo è il filo rosso del racconto. Ma moltissimi altri spunti di riflessione nascono dalla scrittura di De Luca: è una lingua piana, calma, ma non lenta. ( Come è possibile, perchè mi viene di associarla a Petrarca?) Anche gli spazi tra i paragrafi sembrano suggerirti una pausa, e il pensiero germina sulle note accennate dallo scrittore. E le parole si sedimentano nel cuore. 


Ne ho letti altri, di libri di  De Luca. Vabbuò, mi ha sfasteriato presto.
(Gli infuocamenti durano poco. E poi  l'ho visto ieri,  un disco incantato. E vecchio. 
Da Fazio succedono i miracoli)
Però Montedidio è stato bello, e Montedidio è stato anche M., il mio primo corrispondente a lunga gittata.
Quelle belle mail lunghe quanto i papielli di Ercolano, che sfizio "incontrare" nell'aere virtuale, distanza fisica di chilometri e chilometri, un coetaneo  con tante esperienze giovanili in comune, e  risate adulte, in comune.
(e però i frutti di mare...)
E parlarne. No. Scriverne. 
M. cancellò il suo account mentre ero in vacanza senza l'internet. 
Ho ancora il rimorso, e sono passati anni,  per non averlo contattato subito, con la mail privata. 
Poi la sua mail s'è resettata insieme a tutti i file del pc e il suo cognome s'è resettato dalla capa mia, e dopo, molto dopo, quando ho realizzato che non sarebbe stata invadenza, ma premura, per uno strano e ineffabile sentimento di amicizia, non ho più potuto scrivergli.
Marò, e che madeleine patetica, ma tant'è.
E' stato l'inizio.