giovedì 23 febbraio 2012

Mare magnum

Quanto resta da vivere navigando in questo mare?
Sei mesi, un anno.
Oltre, se si seguono le regole.
Assioma: il mare magnum è superficie.
Regola: galleggiare tenendo sempre la testa fuori dall'acqua, non perchè si corra il rischio di annegare, si sa nuotare, ma non è questo che  salva. Oltre la superficie c'è il vuoto. Oltre la superficie si precipita.
Assioma: il mare magnum è superficie di cocci vetrosi.
Regola: coprire bene ogni interstizio epiteliale con la muta della menzogna.
Assioma: la superficie del mare magnum è ondivaga.
Regola: nuotare da onda a onda, tenere il largo è l'unico obiettivo della sopravvivenza.
Cavalcando una sola onda, si finisce spiaggiati.
(game over)

sabato 18 febbraio 2012

Carnevali


"Venivano a grandi salti, e urlavano come animali inferociti, esaltandosi dalle loro stesse grida. Erano maschere contadine. Erano tutte bianche: in capo avevano dei berretti di maglia o delle calze bianche che pendevano da un lato e dei pennacchi bianchi; il viso era infarinato; erano vestiti di camicie bianche e anche le scarpe erano coperte di bianco. Portavano in  mano delle pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciosi, e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo. Sembravano demoni scatenati; pieni di entusiasmo feroce, per quel solo momento di follia e di impunità, tanto più folle e imprevedibile in quell’aria virtuosa. Mi ricordai della notte di san Giovanni a Roma, quando i giovani vanno in giro picchiando con delle grosse teste d’aglio: ma quella è una notte di felicità collettiva e fallica, di baldoria dinanzi agli enormi piatti di lumache, con i fuochi, i canti, le danze e gli amori nel tepore benigno del cielo estivo. I battitori di Gagliano erano invece soli, e solitari in una sforzata e cupa follia; si compensavano degli stenti e della schiavitù con un simulacro di libertà, pieno di eccesso e di ferocia vera. I tre fantasmi bianchi picchiavano senza misericordia chi veniva a tiro, senza distinguere, poiché una volta tanto tutto era lecito, fra signori e contadini, e tenevano tutta la strada in salti obliqui, presi dal furore, gridando invasati, scuotendo nei balzi le bianche penne, come degli amok incruenti, o dei danzatori di una sacra danza del terrore."

Carlo Levi  - Cristo si è fermato ad Eboli 



Non mi ricordo dei carnevali bambini, anche se esistono le prove (fotografie: damina, fatina, cenerentola).
Mi ricordo però dei veglioni  anni più in là (sopra tutti, la melanzana, con tanto di turzo verde in capa)
E della fuggente visione dal finestrino della macchina, verso Calvi risorta (forse, o Capua?)  di  bambini vestiti di bianco, come i fantasmi di Gagliano.

Mi ricordo che, prima delle ordinanze “civilizzatrici” dei sindaci e dei vigili urbani,  era un’impresa sfuggire al lancio di uova e farina (il coprifuoco diurno di Carnevale, e i pulmann arancioni coi finestrini a macchie gialle).
Anche adesso lo è, all’entrata e uscita dalle  scuole di periferia, senza farina, fa meno danno dell’uovo marcio e della bomboletta di schiuma.
(pare che il divertimento sia tutto nel colpire chi non dà nessun segno di voler partecipare al gioco)

Penso a Bachtin (un gioco da poveri), e al pomposone carnevale di Venezia (un gioco da ricchi).

E  una scena.
Ero poco più che ragazzina. 
Uscendo dall’ascensore, mi trovai davanti la famiglia nonmiricordopiùilcognome interamente abbardata.
Abitavano al pianterreno. Nulla oltre il buongiorno e il buonasera.
Le figlie: damina fatina damina.
La madre e il padre: hawaiani.
Ricordo i gonnellini di paglia che danzavano oltre i cappotti aperti,  le cosce nude, pelose quelle del padre, un ometto piccolo e calvo dall’aspetto mite e dimesso, glabre quelle della madre, una femminona con fluente chioma tinto bionda.
E le collane e le cavigliere e le coroncine di fiori di carta colorata fatte artigianalmente in casa.
Ricordo le punte di ammirazione e invidia: mia madre al massimo avrebbe acconsentito ad una parrucca, mio padre neanche ad un tocco di borotalco sulle guance severe.

Del carnevale, mi piace il mettersi in gioco e il gioco del travestimento.
(mi voglio vestire da Cleopatra, o da caffettiera, o da albero, o da vichingo)



domenica 12 febbraio 2012

Parfum


Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l'aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c'è modo di opporvisi.” 

Patrick Süskind - Il Profumo


Di questo magari è convinta la signora del quinto piano, che si rovescia addosso un ettolitro di profumo prima di uscire di casa e trasforma la cabina dell’ascensore in una camera a gas, ragion per cui mi tocca fare la corsa in totale apnea.
(e ti accorgi del suo arrivo anche se è distante un chilometro, prima l’olezzo, poi l’ondeggiare del culo e dei capelli)

Non so perché mentre leggevo il libro di Süskind mi passavano per la mente le pubblicità dei parfum.
(J’adoooooore)
Il profumo nella pubblicità si lega alle immagini della sensualità (belle femmine e belli masculi).
Al che, una goccia di eaudecapadembrell,  farà cadere ai propri piedi tutti gli uomini (e per soprannumero pure le femmine) che passano davanti.
(di sicuro ne è convinta la signora del quinto piano)

Che la sollecitazione olfattiva rimandi d’istinto alla dimensione della sessualità  (il dominio penetrativo) lo sanno bene i pubblicitari, e anche il suddetto signor Patrick Süskind  ,  che appoggiandosi su questo morboso assioma ha costruito il suo libro da un miliardo di copie e traduzioni multilingue.
Libro che, ad onor del vero, ha avuto almeno il pregio di farmi pensare all’olfatto, a questo senso che, soprattutto nei tempi invernali di acuto raffreddamento, esercito poco e niente.
(e al quale rinuncerei, se dovessi scegliere di perderne uno. Vistauditogustotatto mi sono troppo preziosi)


Ci sto pensando, se tra i cinque sensi,  il senso che  l’animale/uomo esercita  meno è proprio quello dell’olfatto.
Dovrebbe essere  quello più istintivo  (l’odore che fa riconoscere i neonati/cuccioli alla madre e viceversa, l’odore che fa scintilla di attrazione sessuale)
Ma quanto d’istinto ci resta, se siamo immersi, sin dalla nascita (uh, quintalate di borotalco)  in una nebbia di odori artificialmente prodotti?  
Una puzza è sempre per tutti una puzza? Un profumo è sempre per tutti un profumo?
Quanto conta il condizionamento culturale, e quanto la sensibilità  individuale,  nell’avvertire l’odore come  fieto o aroma delizioso?
Mah.
Vabbuò, ci ripenso quando mi passa il raffreddore.

domenica 5 febbraio 2012

Neve in haiku.

Affossi, neve.
Limiti i movimenti
e i passi lenti.

Forse tutto dipende dalla prima volta.
La neve è fredda, bagnata, non mi piace.
(la prima volta sulla neve non la dimenticherò mai.
L'abbardatura non era sicuramente a tenuta, nei doposci, quei cosi pelosi fuori e di plastica dentro,  c'erano pozze di acqua,  ciac ciac ad ogni passo.
Anche il culo bagnato.
Un purpo dentro lo scafandro)
Va bene, l'effetto total white ha una sua fascinazione scenica et estetica.
Anche i fiocchetti leggeri che vengono giù come piumette.
Ma l'immobilità e il silenzio ovattato mi fanno pensare alla morte.
(ho un animo  giapponese).


Dura soltanto
un'ora, morbida e bianca.
Rivo diventa.

Ieri ha fatto spruzzatina. Proprio un velo, al mattino presto, copriva tetti e auto parcheggiate e cigli della strada.
Ma lo sfizio di fare palla di neve raccogliendola dagli angoli del lunotto di una auto in sosta e lanciarla contro i vetri di una finestra, me lo sono tolto.
Non si sono scassati i vetri.
Manco questo.
La neve proprio non mi piace.