martedì 19 luglio 2011

E Cielo (amor sacro) e Terra (amor profano) si mostrò qual era

A te, divinità muta e distante, moloch grigio e immobile, sono dovuti doni e tributi, e nulla può turbare la tua fissitá, nè le chiacchiere delle comari ai piedi del tuo santuario, né la prostrazione di chi si affida al tuo sordo orecchio, e neanche la silente adorazione. Immobile e pietrosa resti, il tuo feticcio a toccare con le rigide ali il manto celeste.

Quanto ti è dovuto senza nulla avere dato.
 

A te, creatura terrestre e carnale, sono cari l'oblio dal travaglio e dal dolore, la  sgargiante potenza della fantasia e dell'immaginazione.
Sciogli il cupo nero nella liquida mobilità dei sogno e del sonno, vegliando sul riposo del guerriero e sul fiorire segreto del figlio.


Tra Cielo e Terra, tra l'amore sacro e l'amor profano, agli antipodi dalla Polinesia, non ho dubbi su cosa scegliere.

Di questo Gaugin  non so manco il titolo (titolo??? nome? appellatura?)

Ricordo i manuali di storia dell'arte. Pedanti, nozionistici, pesanti, (il Longhi no, la breve ma veridica storia della pittura italiana lo tengo caro)
A me piaceva la pittura, sopra ogni altra arte.
(e all'esame di storia dell'arte mi chiesero solo di architettura, cazzarola, da Bramante a Palladio passando per chi cacchio li aveva studiati gli altri)
Mi piaceva guardare i dipinti, senza sapere.


Devo il ritrovato piacere di guardare ad  un'amica preziosa - che, per essendo esperta,  ha  grazia e  leggerezza, nel parlare di cose che altrimenti mi abbofferebbero anzichenò.
E ad un altro amico il gusto di.

Qui la poesia si effonde da sola – scrive Gauguin delle isole Marchesi - basta lasciarsi andare al sogno, dipingendo per suggerirla” .

Il dipinto suggerisce.
Poesia e  prosa  [cazzate, anche]. 

mercoledì 13 luglio 2011

Incontri ravvicinati e scontri di civiltà

Mi piazzo gli occhialini, e guardo lenta l'acqua. Un guizzo e lascio la terra. (mi sento sirena, o balena, o nuotatore).
Guadagno il largo, lontano dagli ombrelloni oni oni, e dal tanfo degli oli per scattanti lucide e perfettamente dorate carcasse umane (maledetto eritema, la pelle a pois)
Il mare è una tavola d'aria liquida, una finestra sul fondale ondulato di sabbia e rocce, e di pesciolini (quanti).

Mi coglie all'improvviso, acuminata, una freccia, una spina, un arpione.
Un bruciore irradiante e tirante, ma che è, un crampo no, sono sola in mezzo al mare, immagini di vortici che trascinano sul fondo, di pinne triangolari che si avvicinano, di piovre giganti e mostri sottomarini.
Una medusa, e che cazz, con un mare accussì grande.
Minchia, maledetta medusa, proprio sotto il mio culo ti doveva trascinare la corrente.
In impeccabile stile cane a tre zampe e maledizioni elevate a ennesima potenza, il bruciore dal sottopacca si è diramato alla coscia intera, guadagno la riva.
Ho appena il tempo di affidarmi alle cure di Santa ammoniaca per mano del solerte bagnino - scusi, signora, si deve piegare [pure, odiobbono] - che sulla spiaggia scatta l'allarme. 
O non è da sola, oppure mi ha seguita.
Fuori i bambini dall'acqua, un padre eroico e premuroso armato di secchiello, la circuisce, segue il suo movimento, annaspa sui sassolini, ma con un ratto colpo di mano, anzi, di secchio, la cattura.
I pargoli sono salvi. 
[vita mea mors tua]
Giunge l'animalista, la naturalista, la salvatrice dell'ecodiversitá.
Arcigna e decisa, intima e rivendica la rimessa in libertà della creatura marina.
"Nel mare deve stare, quella è la sua casa, lasciatela vivere"

Spero vivamente che alla prossima abluzione marina la signora, da gradita ospite, sia coccolata da un intero stuolo di creaturelle gelatinose, tanti abbracci e baci e miciumiciu pciù pciù.
Per coerenza sua,  non per altro.

(mal comune sarebbe stavolta triplo gaudio)

venerdì 8 luglio 2011

Tacchi a giglio d'oro

E' bellissimo camminare scalzi.
Sul pavimento freddo in estate e d'inverno sui listelli di parquet, sulla sabbia (sentire i granelli che s'accoccolano sotto i piedi; sollevare scintille quando è calda calda, fare le impronte vicine vicine sul bagnoasciuga o imprimere solo i talloni  - orme - o solo le dita  camminando sulle punte)
Il piedino si racconsola, tocca, diventa un'appendice tattile.
E delle scarpe - che brutta parola, dura e tosta, sc e rp, già il suono comunica costrizione - se ne fa di necessità virtù.
Feticcio quasi.
Soprattutto, n'est pas, le scarpe da donna. (oh, cenerentola e la scarpina di cristallo)
Nessuna antropologia della calzatura, ma certamente nell'immaginario collettivo moderno, una scarpa con tacco alto altissimo fa di una femmina una femmina più femmina delle altre.
(can you leave your  shoes on)

Mai portati i tacchi, ma c'è sempre una prima volta nella vita. (mai dire mai).
Le ho viste, tra gli infradito con i corallini e le ciabatte decorate. Bellissime. Sinuose ed eleganti e altissime. Tacchi come stiletti, guglie gotiche.
Ho provato un desiderio irresistibile, una  libidine violenta.
Mi sono seduta sul puff e le ho calzate. Uà, che piede fascinoso, mi son detta. (una  curva sinottica).
Una signora traccagnottella mi guardava.
Per alzarmi in piedi mi son dovuta mantenere alla parete, ma che spettacolo!
Mi sono sentita  rinata a nuove vertiginose prospettive.
(la signora ha alzato la capa per continuare a guardare)
Una sensazione strabordante di dominio. (ah! anche i tacchi hanno un loro perchè!)
Un passo, due, tre. Lenti, lentissimi, ondeggiatura obbligata, sedere stretto.
Le compro.
Appena entro in casa, scalcio i ciabattoni e me le riprovo.
Mi muovo  con fare distaccato e leggiadro.
(il lavello è bassissimo, arrivo alla piattaia senza sollevare le braccia.)

Pochi metri. Comincio ad avvertire un formicolio alle dita dei piedi, un irrigidimento del polpaccio.
Il formicolio trenta passi dopo diventa  un fiorire di stelline.
Avverto nitidamente l'intero flusso sanguigno dirigersi verso i piedi, martellare con fare insistente le dita già semiatrofizzate.
Non ondeggio più, barcollo.
Immagino le ossa dei piedi torcersi, incriccarsi, deformarsi.
Come una donna cinese dal loto d'oro.
Minchia, in Cina ci è voluto un decreto imperiale per impedire l'usanza.
Qui è questione di scelte.

Rimuovo i trampoli, che delizia il pavimento fresco, le dita che riprendono a muoversi, il muscolo del polpaccio si distende.
Me le guardo, le scarpine charmant, le contemplo.
Non sono  state un incauto acquisto.
Posso sempre usarle come arma impropria.
[Un colpo di tacco pugnale ben assestato, marò!]

Sono pur sempre una donna coi piedi per terra.

martedì 5 luglio 2011

Golconda (Golgota)

Ho aperto la finestra, stamattina.
Non entrava il sole,  eppure era  ben oltre l’alba.
Tutte le finestre chiuse, tutte uguali, tutte della stessa dimensione.
(La dimensione omologante della città)
Cosa c’è dietro le finestre? Non posso sbirciare, le tende sono chiuse. Dovunque sono chiuse.

Le finestre sono uguali, anonime. Eppure c’è  movimento,  lo so, dietro quelle tende e dietro quei vetri.
E dietro quelle  croci.
Una finestra, una croce.
(Golgota, non Golconda)

Oggi pioverà, forse.
E si andrà al lavoro,  stretti nelle strade e nella  folla,  anonimi dietro  il colletto della camicia e il tesserino. Sotto il mio, il tuo, il suo , il loro  cappello a bombetta staranno chiusi i pensieri, come dietro le croci dei vetri delle finestre.
Golconda, è la città indiana dell’oro e della luce. Ma non c’è luce, oggi. Solo un cielo grigio.  Sembra che voglia piovere.  Sarà una pioggerella fitta e fine, gocce tutte uguali e ritmiche.
Sembra che voglia piovere, oggi.
L’aria è stagnante,  come in attesa.  Con le nostre bombette, omini ini ini,  indifferenti gli uni agli altri, chiusi nelle nostre divise, non protetti dal vetro e dalle tende delle nostre finestre, saremo come sospesi,  né in cielo né in terra, anche se parremo muoverci, scendere, salire (fare agire).
E’ ora di andare.
Piove, adesso.  


[Chissà a cosa pensava Magritte quando ha dipinto Golconda.
A me non fa venire bei pensieri.]

venerdì 1 luglio 2011

All'anagrafe

Ah, il posto fisso, la fatica nel Comune. Gli impiegati comunali  sono - voce di popolo - i veri fortunati.
"Ha pigliato'o posto int'o comune, sta apposto."
[manco un sei all'enalotto]
Certamente nessuna crisi - o grave congiuntura negativa  internazionale - mette il posto nel Comune a rischio, è una garanzia di continuità fino alla pensione o fino a che morte non  separi. (sciò)
Però, ci vuole taaaaanta preparazione per superare i concorsi, taaaanta pacienza per sopportare il pubblico, dico soprattutto  per gli impiegati che stanno agli sportelli:  gli utenti  fanno continue richieste, domande assurde,  rompono,  premono,  scassano da quando si apre la saracinesca fino  a quando chiude.
Ci vuole un'attitudine particolare.

C'è aria condizionata, si sta freschi nell'ufficio anagrafe.
Dietro il lungo vetro di separazione, ci sono due impiegati.
Mi avvicino al vetro lì dove il cartello indica documenti d'identità. Un impiegato mi chiede cosa debba fare.
Evidentemente non conta saper leggere; gli dico che devo rifare la carta d'identità.
Mi invita a spostarmi  a destra, verso l'ultimo sportello.
[mperscrutabili motivi]
Consegno la carta d'identità sbrindellata e le fotografie.
"Signò, ma queste foto non vanno bene, e che è, sono foto di riconoscimento queste?"
Rispondo che proprio per evitare problemi, le ho fatte dal fotografo e non con l'autoscatto o alle macchinette, e certamente il fotografo avrà immaginato che le fototessera sarebbero servite per  i documenti e non per il book fotografico.
Si allontana e va a chiedere a qualcuno all'interno.
"Signò, non vanno bene, ma ve la faccio lo stesso, poi ve la vedete voi.
Siete alta 1,65 sì?"

[non sto  a rivendicare il  centimetro che mi ha sottratto, in quanto attraversata da  un più possente  moto di vanità frustrata. Se avessi messo i tacchi invece dei sandali piede a terra sarei potuta diventare in un battibaleno, con tanto di certificazione, un pezzo di stangona]

"Signò, ma di che colore tenete i capelli?"
Visibilmente meravigliata, non rispondo. L'impiegato mi guarda e guarda la foto, mi guarda e guarda la foto.
Poi risoluto, dice:
"Vabbuò, lo domando di là" - e con la foto in mano si reca nuovamente all'interno.
Torna e alla voce capelli, scrive: ramati.

E se domani  tingessi  la chioma biondo platino o nero corvino o  blu elettrico?