venerdì 30 dicembre 2011

Semi-Schizofrenie

"Buongiorno, le posso lasciare un libro, lo riesce a  fotocopiare entro oggi pomeriggio?" - chiedo alla signora della cartoleria.
"Ma per intero?? Veramente non si potrebbe, è illegale."
La guardo. Penso già allo stress di scannerizzarlo a casa via stampante, dieci minuti di rumore sbrzzzrbrrzzz per pagina.
"Non si trova in commercio, è esaurito, altrimenti per 11 euro non varrebbe proprio la pena di fare le fotocopie."
Butto lì, quasi tra me e me con il Catullo edizione critica di pincopallino tra le mani.
"Ma sa com'è, si rischia il penale. Se glielo fotocopio, poi  - abbassando la voce e sollevando le sopracciglia - quando lo porta via deve tenerlo nascosto, insomma, non lo faccia vedere."
Le consegno il libro, complice consapevole del reato. 
Ritornerò al negozio con la borsa termica per i surgelati per nasconderci libro e copia pirata.

Non riesco a provare un vero senso di colpa, però.
Con battage pubblicitari che vanno ben oltre il passaparola, lungo stessa strada, pochi metri oltre, un negozietto di elettronica e informatica vende psp2, wi, xbox and so on già modificate, oppure offre a soli 60 euro la modifica.
Non so se sia reato modificare un "giocattolo" elettronico. 
(come truccare il motore di un auto)
Ma l'affare viene  modificato affinchè possa ingoiare i giochi scopiazzati sul cd o sulla pen drive.
Di sicuro è reato piratare i giochi.
(ma piratati costano cadauno due euro due )
C'è sempre folla, in quel negozietto.
Alla luce del sole.
E il mio libro pirata farà la strada nascosto sotto il peld.





venerdì 23 dicembre 2011

Arrassusia


Rientro in casa e trovo sul mobile della cucina i pacchetti.
Uno di riso, e due di frollini per il latte.
“Aiuto UE – Prodotto non commerciabile”
La mia vicina di casa  è venuta a dare gli auguri di natale. Avrei preferito di no.
Non è per la mia vicina.
E’ per coloro da cui la mia vicina ha avuto i pacchi, di cui tenta di liberarsi distribuendoli in giro, sul pianerottolo,  e altrove.
La mia vicina lavora in una scuola materna parastatale gestita dalle  suore, le cape di pezza.
Le pagano lo stipendio con due , tre mesi di ritardo, “tanto, pure tuo marito lavora, non ne hai bisogno”.
E la tredicesima gliela elargiscono sotto forma di beni di consumo.
Pacchi e pacchi di generi di prima necessità “Aiuto UE”, destinati chiossape a chi, agli indigenti, alle famiglie in difficoltà, penso, non certo ai lavoratori, ai dipendenti, grazie ai quali la loro scuola può funzionare, e incamerare le rette (oltre a tutte le agevolazioni, sussidi etc etc).
(impunite)

Io li avrei sbriciolati sulla faccia della superiora, i biscotti “aiuto ue”.
E le avrei fatto piovere il riso addosso,  glielo avrei fatto respirare, il riso,  alla superiora.
Tanto,  “pure mio marito lavora.” 
E i pacchi per gli indigenti li avrei ritirati di diritto alla Caritas.
Ho vergogna di tenere i pacchi in casa.
Mi vergognerei  anche di darli a quelli che chiedono l’elemosina.
(li libero dall’involucro e li metto nelle scatole di latta).
Dubito che i locali della scuola e l’annesso conventino paghino l’ICI.
Ma altro che ICI, ci vorrebbe la galera.
Devono scomparire dalla faccia della terra.
Arrassusia.

sabato 17 dicembre 2011

Consigli


Lungo la strada un posto per parcheggiare manco a pagarlo oro, e allora mi infilo in una stradina che so essere chiusa e dove anche altre volte, sulla destra, ho piazzato l’auto.
Adesso pure il lato destro  è tutto appilato.
A sinistra c’è un bello spazio, da due posti, lasciato libero libero.
Aggarbo la manovra e mi piazzo a mano mancina.
“Signò, non vi conviene parcheggiare qua”
Il consiglio, dato con piglio accorato e complice, viene da un anziano signore che inzerrato dentro un’utilitaria rossa esce da un cancello.
Mi guardo intorno alla ricerca di passi carrabili, di divieti, di tralicci penzolanti, di balconi pericolanti.
Nulla, la macchina è sistemata contro un muro liscio liscio, il fianco di una palazzina con tre finestre.
“E’ per le finestre – mi dice, quando scendo dalla macchina, lasciando la portiera aperta, per capire meglio il senso del messaggio – non vi conviene parcheggiare sotto le finestre.”
“Ma perché, che fa? Mica è vietato.”
“E già vi ho detto assai, non posso dire di più, poi, fate come volete, ma non vi conviene parcheggiare qua.”
Si rintana nell’abitacolo, mentre una vecchia, capello spennato e bocca spettinata, s’affaccia.
“ah, ‘a signora nun sta assai tiempo, nun è vero? Iate, iate, signò.”
Ho delle visioni.
(premonizioni?)
Un vaso di fiori, un secchio con l’acqua sporca, un sasso, la sciacquatura dei piatti, un càntaro stracolmo, tutti accidentalmente rovesciati sopra il tettuccio della mia macchina.
Com’è, come non è, questa volta accetto il consiglio.
Non quello della vecchia, però.
Nun se po’ mai sapè.

martedì 13 dicembre 2011

Sindromi

Anche se è un bell'uomo, garbato e gentile, e pure  professionale assai, dal mio docteur, non ci vado quasi mai.
Solo quando non posso proprio proprio farne a meno.
Solo quando  il fastidio e il dolore diventano  imperscrutabilmente e assillantemente costanti.
[mi caco sotto dalla paura]
Il numero alla porta - un euro, un numero -  e la sala d'attesa.
Vedo materializzarsi migliaia di microbi, di batteri, di virus che allignano a un millimetro dal mio naso.
[respiro a bocca chiusa, respiro facendo entrare meno aria possibile]
Poi, dopo solo 4 visite,  entro,  con la ciorta e il sollievo di chi  mentre si avvia nell'ambulatorio,  vede comparire sulla porta l'imprevisto, lui,  l' informatore scientifico farmaceutico.
[poveraccio, una jastemmia moltiplicata per ogni paziente in attesa, la mia se la scansa, sto entrando. Tengono la pippa lunga, i rappresentanti]

"Carissima, da quanto tempo! Come va?"
Oltre a fargli una risatella in faccia, che gli vuoi dire se non dottò, non è per lei, ci mancherebbe, ma se sto qua, insomma.
"Ecco, questo strumento si chiama cauterio, facciamo presto presto, non si preoccupi, un attimo e passa tutto"
[cazzarola, minchia che dolore, e mò basta, marò e come cacchio brucia]
Comunque.
Sono grata come il leone a cui il topolino ha tolto la spina dal piede, e non posso non provare, alla fine,  una vaga sensazione di scuorno.
Ora anche verso il mio docteur devo giustificarmi, ehh,  che scusa.
Ci ho la sindrome di Tourette.
(chissà se anche nella sala d'attesa si è sentito il florilegio di maleparole)






giovedì 8 dicembre 2011

11 centesimi

Natale mi mette tristezza. 
La frenesia, le luci dovunque (anche sul grande albero, tronco e rami imbrigliati in una rete luminosa, che effetto strano il gigante senza chioma che sostiene il nero del cielo), l'aria forzosamente festosa, la corsa all'accattamento, gli ipermercati grondanti carrelli e piedi, mi indurrebbero a rinchiudermi nella tana e a non mettere il naso fuori dalla porta e dalle finestre.
Ma si deve andare a lavurà (fortunata).
Ma si deve anche magnà (la spesa, anche un minimo).
A volte si deve obbligatoriamente, così va la vita, cedere a pressioni ancora più poderose di quelle che vengono dal di dentro e trascinarsi dentro le rombanti gallerie commerciali, jingle bells a palla e aria stantia.
Ebbene.
Stavolta non c'era folla. Pochissima gente.
Però le pompe di benzina all'esterno erano prese d'assalto, così come quelle lungo la strada per arrivare a.
File chilometriche, manco si fosse tornati all'austerity del '70.
E questa cosa mi ha fatto ancora più tristezza. 
Quanto si  può risparmiare su un pieno, facendolo prima dell'aumento di 11 centesimi? Due, tre euro?
E domani? Non si prende più l'auto? Si conserva la benzina nel serbatoio per un anno o due?
E' come se, sapendo dell' aumento del costo delle sigarette, comprassi non una ma 10 stecche.
E poi? Bruciate quelle, smetto di fumare?
(magari)


sabato 3 dicembre 2011

Sciupatempo

A volte penso chissà come sarei stata  se avessi avuto 14 anni oggi.
'Sti gggiovani, superficiali, non riescono a concentrarsi su niente, sempre a pazziare con le tecnologie, iphoneipodipad.
E l'internet, of course.
Ma ci hanno ragione, porco bestione, come si fa a resistere. 
Le forme  di pariamento "tecnologiche" nelle quali lasciare scivolare minuti su minuti, ore su ore, sono davvero infinite.
[ne ho appicciato di tempo]
Il primo grande pariamento  fu scaricare, al pc, mappate di giochi d'avventura (dal rigido Monkey Island al fluidissimo Syberia, e quasi quasi...)
Il  secondo è stato  esplorare città nelle quali non andrò mai.
(google map - cerca - Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo)
Quelli di mezzo non li conto, resistono ancora tenacemente.
Da poco ho scoperto Google translate.
E' inaffidabile, manco gli oroscopi.
Ma lo sfizio di provare a fargli tradurre maleparole e  frasi sconce in giapponese, telegu e armeno, e negli altri idiomi, è davvero di un'irresistibile e impagabile inutilità.
(devo lavorare al pc, e mentre  riempio un campo del modello psp coordinato che avrei già dovuto stampare e  consegnare, la mano in automatico si sposta e apre il browser e poi una guardatina al preferito, e una buttata di occhio a, che rimanda a , e poi ancora a, e sto da un pozzo di tempo e non ho ancora accocchiato niente)
ətrafında Piç,  чертова вокруг, vitun ympärillä ...






giovedì 24 novembre 2011

Arbore salvatico

"L'arboreto, dicono i dizionari, è una raccolta di alberi che vengono osservati e studiati dal punto di vista botanico, forestale, agricolo, ecologico, estetico eccetera  (...) Ma "salvatico"? L'aggettivo era usato nel Rinascimento per selvatico: due parole che messe insieme mi piacciono, anche se in contraddizione tra loro: selvatico è non coltivato, non domestico, ricoperto da selve, anche rozzo; ma c'è la vocale A al posto di  una e, così tutto cambia: un salvatico che diventa salvifico, che conduce alla salvezza."

Mario Rigoni Stern "Arboreto salvatico" nota all'edizione 1996 pag. VII

Non ci avevo fatto caso. 
Quanto sono distratta.
Il fastidio per lo scuncicamento del manto stradale, per la difficoltà a camminare, esercito in fila indiana, tra i fuossi e le pietre, nel corridoio  creato per permettere l'accesso all'edificio, (quando, ma quando finiranno i lavori di sistemazione che porteranno all'allargamento del marciapiede? ) si è preso tutta l'attenzione.
Hanno abbattuto gli alberi.
Due pini, due mimose, una magnolia: questo era l'arboreto salvatico.

Nelle attese, piuttosto che guardare le facce, le scarpe, i tacchi e le borse della spesa,  spesso fissavo le gemme dei pini.
Più verdi, meno verdi, quante sfumature di verde su un solo ramo, le gemme sbottavano anche su quelli che sembravano secchi.
Osservavo tronco e rami e aghi alla ricerca di indizi della ricomparsa delle processionarie. 
(Un dramma fu la comparsa delle processionarie, una tragedia, una sciagura; chiusura dell' edificio, disinfestazione.  Eppure, allora non furono abbattuti,  i pini)
E la mimosa.
Fioriva già a gennaio, sempre. Quasi di botto.
Da un giorno all'altro si riempiva di fiori, un'esplosione di giallo tra i cappotti e i cappelli scuri.
Una meraviglia, la promessa della fine dell'inverno.
(Finiranno le  brevi e cupe giornate, tornerà il tempo dell'aria aperta e dei leggeri pensieri)
Allegria.
L'odore pungente, acutissimo.
Come passare per un attimo in un altrove.

In uno slargo di grigio asfalto, circondato da un alto  muro di cemento, è rimasta solitaria la magnolia.
La sua ombra sarà contesa al centimetro, in estate.
Non è mai fiorita, la magnolia.
Arbore salvatico, memoria del microscopico arboreto salvifico.







sabato 19 novembre 2011

Dodecalogo della scrittura del racconto


Andrès Neuman, classe '77, è nato in Argentina e vive in Spagna.
Una rivelazione nel campo della letteratura, a quanto dicono critica e pubblico spagnoli e non solo.
(E tiene pure la faccia simpatica).
In italiano sono stati pubblicati, della sua già corposetta bibliografia (trans-genere, dalla narrativa alla poesia alla saggistica), solo due libri: Il viaggiatore del secolo e Una volta l'Argentina.
Libri che, naturalmente, non ho letto (semplice dovere di cronaca).
Ho letto però due racconti, "Vasca" e "Rebobinando" appositamente  tradotti  da una voce e mano amica, tratti dalla raccolta  "El último minuto".
M'hanno impressionato.
Belli assai, assai.
(e tranne poche eccezioni, penso alle "Storie di cronopios e famas", i racconti non mi pippano per niente)



Nella raccolta  vi è un'appendice con riflessioni teoriche sull'arte del  raccontare  (fuga della mente verso "Bestiario" di Cortázar e le appendici "Alcuni aspetti del racconto" e "Del racconto breve e dintorni")
E dall'appendice "Il racconto, variazioni", contenuta in "El último minuto", questo è il dodecalogo.


Dodecalogo della scrittura del racconto.

(...)
Prima d’ogni altra considerazione, mi piacerebbe proporre un piccolo decalogo pratico attorno al racconto.  Ammetto che, in ambito saggistico, m’interessa molto di più una teoria della scrittura che la teoria o la storia della letteratura. Naturalmente,  le convinzioni teoriche d’uno scrittore solitamente non precedono la scrittura stessa, ma derivano dai suoi risultati.
Vediamo allora in sintesi questi soggettivi enunciati:
I)     Raccontare un racconto è saper mantenere un segreto.
II)   I racconti accadono sempre ora, anche quando parlano del passato. Non c’è tempo per altro, e non           ce n’è bisogno.
III)   L’eccessivo sviluppo della trama è l’anemia del racconto. O, per meglio dire,  la sua morte per asfissia.
IV)    Nelle prime righe del racconto si mette in gioco la vita; nelle ultime righe, la resurrezione. Quanto al titolo, al contrario di ciò che molti pensano, se è troppo brillante  si dimentica facilmente.
V)        I personaggi non si presentano: semplicemente agiscono
VI)  L’atmosfera può essere la cosa più memorabile in un soggetto. Lo sguardo può essere il  personaggio principale.
VII)      In narrativa, il lirismo misurato  produce magie. Il lirismo sfrenato trucchi.
VIII)  La voce del narratore è tanto importante, che non deve essere notata. Risulta più facile mentire usando discrezione che attraverso l’ostentazione o l’artificio.
IX)  Salvo eccezioni che possono essere citate, la frase breve è la più naturale in un racconto. Correggere: ridurre.
X)     Il talento è il ritmo. I problemi più sottili cominciano con la punteggiatura.
XI)    In un racconto, un minuto può essere eterno e l’eternità può essere racchiusa in un minuto.
XII)    Terminare un racconto è saper tacere in tempo.

Effettivamente. Pratico. 
E, pensando al racconto in generale, quelli che hanno impresso un segno sono rispondenti, in modo ortodosso, al dodecalogo.



giovedì 17 novembre 2011

Teatranti

Potrebbero  mai bastare ad una scuola che vuole definirsi delle opportunità, della formazione globale, dei blablablablabla multipli, le striminzite 27 ore curricolari in classi dove sono stipate dalle 24 alle 28 creaturelle?
Certo che no.
Allora  germinano sbocciano fioriscono progetti su progetti di ogni specie, dal giardinaggio [a zappare la terra!] alla psicomotricità, dall'arte della ceramica a quella della costruzione di aquiloni.
Naturalmente, i fanciullini attratti dalla gestualità, dalla mimica, dalla recitazione, dall'arte del travestimento e dell'impersonificazione delle alterità (ma anche messi lì solo per a fare numero), vengono arruolati in megaroboanti progetti teatrali.
(assecondiamo le vocazioni)
Meglio se i progetti si propongono anche come percorsi di educazione alla conoscenza del territorio,  alla riscoperta delle radici, alla valorizzazione cultura locale, chiossape, nun sia mai si dovesse perdere l'identità.
Il corso di teatro si conclude, ovviamente, con la messa in scena. 
La recita finale.
Nello specifico osservato, la messa in scena delle "Voci 'e Napoli"

" 'A ruuta, 'a menta, 'o vasinicooooore!"

" 'E ttengo belle nere nere, 'e mulignaaaaaaane!"

" Tengo 'a fava che schiatta 'a tiaaaaaana!"

Voci di mercato, voci di venditori ambulanti.
E canzuncelle funiculì funiculà, jamm jamm.

Vorrei vedere come fanno a spiegare ai bambinelli che cosa significa tengo la fava che schiatta la tiana.*
(e il suo altissimo valore culturale)


*pentola

venerdì 11 novembre 2011

Specchio, servo delle (altrui) brame

Si muovono veloci le sue mani, rapide, esperte, zruum zruum.
Tento faticosamente, come al solito, di seguire le parole del libro che mi ostino a tenere aperto mentre la parrucchiera mi inciarma 'ncapa.
Improvvisamente si ferma, lasciando le mani e la spazzola a mezz'aria.
Mi guarda.
Interrompo la finta lettura.
Si avvicina, mi punta gli occhi in faccia, stranita.
- Che è? - dico, guardandomi nel megaspecchio che ci contiene entrambe.
Indica con il manico della spazzola un punto, collocato approssimativamente sulla fronte.
- Che è? - ridico, allarmandomi.
[Un'ustione, una bruciatura, oddio, non ho sentito dolore, sono diventata insensibile ]
- Un capello bianco.
Mi osservo.
- Ehhh, figuriamoci, e che sarà mai! Uno solo?
- Ma è sul sopracciciglio!

Mi azzecco allo specchio. Cazzarola, ha ragione.
Un capello, quale pelo,lungo lungo, bianco quasi trasparente, la radice fissata al centro del sopracciglio.
E quando mi è spuntato??
Eppure, almeno tre volte al giorno, quando mi lavo i denti, nello specchio mi ci vedo.
(Vedere senza guardare, specchio senza brame)

lunedì 7 novembre 2011

Montone, pecora, agnello.

Ho deciso di fare collezione di chicche.
Non perchè voglia a imperitura memoria (mia) fissare le corbellerie e le superficialità e le sconvolgenti ignoranze.
E neanche per lo sconforto o la delusione o l'incazzatura (quelle sempre dopo)
Voglio ricordare la roboante, tuonante, squassante, esplosione della risata.
(E la tenerezza immediata)
Chè altrimenti tra chiacchiere a vacante e montagne di scartoffie ci sarebbe da desiderare di essere ... mhmmm, vabbè.
La colpa è mia, che tengo i motilli frenesianti e cerco di portare il tono del ragionamenti su livelli interplanetari, pretendendo di partire da una lettura che racconta di Mamhud il macellaio (ribattezzato all'unanimità dalla classe Muamad), artista della preparazione del Kebab per arrivare nientepopodimenoche all'analisi argomentativa della frase "Il cibo è cultura".
Ci si imbatte nella carne di montone.
Chiedo, così, per eccesso di scrupolo.
"Lo sapete cos'è un montone, vero?"
Facce sconcertate, bocche cucite.
Si apre, in primo piano al primo banco, un sorriso, e un guizzo dell'occhio che mi guarda mi rivela che la soluzione al terribile quesito è in dirittura d'arrivo.
"Un animale!"

[Rido - Carne di minerale o di vegetale, non l'ho mai mangiata - Ridono.]

Non è colpa loro se non hanno mai visto Babe.

mercoledì 2 novembre 2011

La casa di Bernarda Alba: grotta, tomba, covo di vipere.


Il Mercadante è un teatro piccolo.
Non ricordavo il boccascena riempito da  una gradinata  su cui sono schierate file di poltroncine in plastica rosse.  
O lo hanno ampliato, oppure è una scelta scenografica fatta ad hoc per la Bernarda.
Le attrici  dunque recitano su una passerella, al centro. 
Recitano nel cuore della casa, tutta bianca, eppur c'è sempre da strigliare e pulire.
Vicini vicini vicini, a star seduti nelle prime file della platea  basterebbe allungare una  mano e afferrare la caviglia delle attrici.
Schiava della perenne distrazione, non ho potuto  fare a meno di soffermarmi sulle facce del pubblico  di fronte, tranne quando la scenografia prevedeva una sorta di tendina che "oscurava" la scena, nascondendo completamente  il pubblico di fronte. 
E che strano vedere le attrici chinarsi da ambo i lati, per accogliere l'applauso conclusivo,  schiena e suo fondo  una volta, capo chino un'altra.
Comunque.

Passato il tempo della distr-azione, la piece si sedimenta.

"La casa di Bernarda Alba", è  uno degli ultimi lavori  di Federico Garcia Lorca, prima che venisse ucciso  nel 1936. 
Una rappresentazione di una  cupezza angosciosa e angosciante, accentuata dal  coro di donne vestite a lutto, una sfliza di zì monache,  che cantano canzoni di chiesa e come ali nere e lente spostano gli oggetti di scena. 
(Brave tutte, le attrici, ma più di ogni altra, la Maria Grazia Mandruzzato, la serva La Ponzia, una forza espressiva davvero straordinaria.)

A solcare la scena ci sono solo donne. 
Ma la  presenza degli uomini, il morto e il vivo,  pur nella assenza scenica, è invasiva e ingombrante.
Tante donne per descrivere una società maschilista e oppressiva.
Il morto,  con il funerale del quale inizia lo spettacolo, è il marito di Bernarda.
Il morto genera 8 anni di lutto e trasforma la casa in una gabbia, in  un sepolcro per le 5 figlie e anche per la nonna pazza.
Ma è la Madre a deciderlo.

Il vivo è Pepe, il ragazzo più bello del paese (e cazzarola, avrei voluto vedere quant'era bello stu mobile, e invece manco la voce fuori scena si sente).
Il vivo vuole la dote, punta la figlia  maggiore di Bernarda, nata dal primo matrimonio, l'unica che ci ha i sordi, ma non la giovinezza, nè la grazia, nè la bellezza. 
Il vivo vuole l'ammore, punta la figlia minore di Bernarda, che se ne frega delle chiacchiere e dei comandamenti, segue la pulsione, l'istinto, amore e morte.
La casa di Bernarda diventa un crogiuolo di rancori, di invidie, di dolore. 
Ma che nessuno sappia, mai.
La censura dei sentimenti e della libertà, sotto un velo opaco e torbido.
Per opera della Madre.


Sicuramente la storia è denuncia di un tempo e di uno spazio e di una mentalità, oltre ad essere  metafora delle dittature fasciste. 
Ma.
Non ho potuto fare a meno di pensare - altro che  angeli del focolare - a quanto spesso le madri si facciano custodi e vestali dell' orrore. 
Anche quando sollecitano  le proprie figlie a partecipare ai  bunga bunga.




lunedì 31 ottobre 2011

Hallo! Ween.


Odio tutte le feste comandate.
Con due eccezioni: Carnevale e Halloween.
Halloween  non si usava, quando ero bambina.
Invece è divertentissimo giocare a mettersi e a far mettere paura.
(Lo faccio adesso. E' un privilegio che si può permettere solo chi ha a che fare con i bambini, che altrimenti,  coi capelli cotonati ritti in capa, le occhiaie  dipinte di nero nero, e la voce cavernosa e roca, il 118 sarebbe allertato di presso)

Mi frega cippa che è una festa importata, un'usanza altrui, una festa senza radici e senza storia nella cultura nostra.
(mica rinuncio all'insalata russa disposta in vassoio accanto all'insalata di rinforzo nella cena della vigilia)
E' divertentissimo vedere i bambini sfidare la paura solo guardandosi nello specchio con le maschere mostruose o i trucchi orripilanti, e sfidare il ribrezzo fingendo di mangiare tramezzini al vomito di rana o alle budella di orco, e panini ripieni di diarrea di mosca.
Tutto questo non ha niente a che fare con satana, il diavolo, la morte, l'anticristo, l'omaggio al vuoto e alla morte. (qualcuno è azzeccato proprio)
Del resto, nessuno ora si sognerebbe di stare a sindacare sul da dove è venuto e perchè e percome e perquando il babbo natale, quello smuove miliardi, non pazziamo proprio su questo. (dai, buttati, che è morbido!)
Non si parla del pleistocene, ma quando ero bambina, solo la befana portava UN dono (uno solo) e le caramelle e i mandarini e il carbone vero, non di zucchero. 
Ma due donatori, coi sacchi pieni pieni sulle spalle,  sono meglio di one.
Halloween riesce bene anche a costo zero.
Si disegnano le zucche, si disegnano le faccine con le matite nere e rosse. Si ritagliano i pipistrelli da un cartoncino nero.
E' solo un gioco.
E dunque tra il 31 ottobre e il 1 novembre, i bambini festeggiano Halloween.
(e io con loro)
Non dovunque però.
Non nelle scuole religiose, non negli oratori.
(spero che ci siano tante di quelle eccezioni da inficiare la regola)
Ho visto patetici tentativi di sostituzione della festa dei mostri con edulcoratissime feste dei santi, aureole e ali e ghirlande di luci.
Eccerto, l'unica paura che si deve avere e che bisogna inculcare è quella della morte secunda. 
Manco per gioco si può essere cattivoni. 

[A Carnevale bisognerebbe vietare di vestirsi da preti e da suore, blasfemia, blasfemia!]

lunedì 24 ottobre 2011

Di premi e votazioni


Serata fresca e piovigginosa,  androne di antico palazzo nobiliare, contenuta folla in attesa di partecipare all’evento, il premio letterario XWZ.

“Uè, ciao, anche tu qua!”
“Eh, ci sto con degli amici, dobbiamo votare il libro.”
“Ah, e dimmi, a te quale libro è piaciuto di più, quale scegli, a  chi dai il voto?”
“Veramente non li ho letti, ma c’è Mario che ce li ha raccontati, e allora  voto ******,  è il più bello, secondo lui.”
“…..”

A volte mi sento una talebana. Rigida, rigida.
Non posso tollerare, ma proprio non posso tollerare certi fatti.
Come si può scegliere e votare qualcosa che non si conosce, che non si sa, solo perché qualcuno dice che o sostiene che o convince che o soltanto perché piace a?
(il nonno dava alla nonna il foglietiello con il simbolo e il nome, e la nonna che teneva il diritto di voto, da poco, ma che importa, eseguiva docile docile)
Dai massimi ai minimi sistemi, l’intolleranza non cambia.
Come si può votare  ad un concorso letterario un libro per procura di gusti e appassionamenti?
Non ho letto i libri in concorso, non voto.

Il pubblico, dopo aver votato,  ascolta le relazioni della giuria tecnica. Le motivazioni che hanno portato all’attenzione dei lettori i libri finalisti. I panegirici.
Segue applauso bulgaro.

Mi sono sempre chiesta quali siano i criteri di selezione dei libri finalisti, dei libri candidati ai premi.
Un pozzo ed una sporta. Già solo la pagina di wikipedia   riporta 78 premi letterari italiani.
Per tacere dei concorsi riservati agli esordienti.
Che fatica bestia deve essere, solo per fare un esempio, per i 400 amici del premioStrega, uno dei più "prestigiosi" e "conosciuti", lavorare alla rosa dei libri finalisti!
Il regolamento prevede due tornate  durante le quali vengono selezionati i libri presentati dagli stessi amici, tutti “diversamente  (sic!) inseriti nel mondo della cultura”. 
Anzi, per amore di  verità e  di precisione, il regolamento prevede che ogni libro candidato a fare la parte del papabile debba essere presentato da almeno due amici del premio.
400 amici del premio diviso minimo2 sostenitori per ogni titolo = 200 libri da valutare se tutto va male.
Urca, ma che gigantesco impegno.
Un premio agli amici del premio.
[Malignamente penso ad accorpamenti,  gruppi di sostegno, oggi a me domani a te,  pressioni delle case editrici]

Si contano i voti, si tirano le somme, si proclama il vincitore. 
Relativamente, ovvio. 
Tutti i libri finalisti sono vincitori.

L'unica motivazione che mi tiene, è una parossistica bulimia cartacea. Son sempre libri in più da leggere.
Sono libri gratis, è vero (che tirchieria).
Ma  forse è meglio sceglierseli da soli.





sabato 22 ottobre 2011

Strade zen

Prima l'onomastico contava quasi più del compleanno. Quasi.
Certamente era più ricordabile, soprattutto lì dove vigeva la infame legge della supponta.
( uno per trecento, dal bisnonno al nipote:  Giuseppe, Peppino, Giusè, Peppiniello).
Io me li scordo bellamente tutti (e anche i compleanni e gli anniversari e i compicaz)
Tuttavia.
L'abitudine di festeggiare l'onomastico, con annesso offertorio di dolcini e caffè  e rustichelli e connesso sbavamento multiplo sulle guance,  non s'è persa, almeno sul luogo dove lavoro.
(maledetti i calendari)
Pessima abitudine, ma non sottostare a questa equivale alla morte sociale.
(io già sono orca abbastanza, e tendenzialmente suicida sociale)
Dunque sono andata a lavoro con le paste, le ho messe in bella vista sul bancone e poi, dopo aver ricevuto almeno una decina di doppi baci e toccamenti di spalla, mani sudate/fredde/rigide/mollicce altrui nelle mie, ho fatto virata e fuga per andare  a nascondermi ed evitare un'altra trentina di sbavate e stritolate.
B. che è l'unica che  (mi) capisce mi ha detto  - vai, si vede che soffri.
Cazz -  le ho risposto - è tanto evidente? 
Sulla tua faccia si legge tutto - mi ha risposto. 
E io che faccio - cerco di fare - esercizi continui di impassibilità.
Lo zen non è la mia strada.

lunedì 17 ottobre 2011

Puttana Eva

"... Eva è ancora l'unico nome biblico - insieme a quello del traditore Giuda - che bestemmiare è considerato veniale. Se nessuno ha mai pensato di imprecare con il nome di Adamo, qualcosa vorrà pur dire."


Michela Murgia   "Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna."



Non lo so se è considerato veniale.
Non sono esperta di graduatorie dei peccati, mi devo fidare della Murgia che ha fatto studi teologici.
E però.
Se la bestemmia è una imprecazione (la bestemmia è un'imprecazione?), puttana Eva è davvero una bestemmia sui generis, astratta ma astratta assai ancora più delle altre.
Puttana come, se nel paradiso terrestre ci stavano solo lei e Adamo?
(ah, no, ci stava pure il serpente)
Ma vuol dire molto più di qualcosa.

venerdì 7 ottobre 2011

Mi è semblato di vedere un...


Un elefante.
Un elefante (Indiano? Africano? Boh)  a passeggio per il corso principale,  tra i motorini  (cauti nel sorpasso, la verità) e le auto (non strombazzanti , e che è, meraviglia!)
Straniante assai.
Pubblicità vivente del circo Orfei. 
Evidentemente il volantinaggio e la distribuzione di biglietti finto omaggio  fatti dagli inservienti  in divisa rossa e mostrine e alamari dorati non sono stati sufficientemente efficaci.
E lo so, lo so, ai bambini piacciono tutti gli animali esotici, le galline, le capre, figuriamoci un elefante.
All’elefante in proboscide e zampone non si può resistere.
(se non funziona questa non ci restano che le fattorie maremmane, penseranno quelli del circo)
Ma che pena,  povero bestione.
Che pena uguale, immaginarlo chiuso nel gabbione-carrozzone.

E in tutto il suo lungo marciare, manco una cacata.
(come avranno fatto a fare in modo che non?)

mercoledì 5 ottobre 2011

Si gonfia la rete

"Nessun altro posto al mondo, dopo quel giorno, mi è parso così tanto oggetto di una possessione demoniaca e collettiva: Rio a carnevale sembra Stoccolma il due novembre, a confronto" 

Maurizio De Giovanni   "Ti racconto il 10 maggio" 

Vero è. Me lo ricordo.  Dal terrazzo all'ultimo piano in via Salvator Rosa, il fiume azzurro.
E in strada poi,  le signore dei bassi del Cavone - tutte impernacchiate manco un matrimonio - avevano sistemato  i tavoli e le pentole di pasta e fagioli (e sui fili per il bucato da un balcone all'altro niente lenzuola e mutande, solo gagliardetti azzurri). 
Nessun incidente, niente muorti e feriti, nessun danneggiamento - dice De Giovanni. 
Non ci potrei giurare, ma certamente in illo tempore non erano ancora pasciuti i maumau  come quelli che, domenica scorsa, per rallegrarsi con la squadra al rientro da Milano, sono entrati nell'aeroporto di Capodichino sfondando le vetrate coi motorini.

Lo sport non mi interessa. 
Il calcio meno di niente.
(quanti uommechi per tirare due cavuci a una palla - penso allo sciopero dei calciatori, ma andassero a cacare - ; che indecenza  diventare miliardari per fare quello che a miriadi fanno pure scavzi e tra la  polvere e gli sterpi, solo per il piacere di giocare;  che fetenzia vedere stereotiparsi i sogni  dei ragazzini "voglio fare il calciatore, tengono 'e sorde,  'e guaglione belle")
La partita non la guardo, anche se non posso evitare - solo i tappi nelle recchie - di sentire in tempo reale,  dalla voce del condominio e della strada,  l'andamento dell'incontro.
Eppure non riesco a mantenermi.
In caso di vittoria, il giorno dopo me lo cerco in rete.
(giusto in tempo prima che il signor Sky faccia togliere i video, violazione dei diritti di  sticaz, ma tanto, come li mantieni gli sguscianti che filmano la tv e si confezionano in proprio i videoclip?)
Mi mette allegria, a prescindere.
(La festa, la festa: mi meraviglio sempre di me stessa)
Lui è l'iterazione della "possessione demoniaca e collettiva".
Raffaele Auriemma.

sabato 1 ottobre 2011

Elena e Pasquale

La circumvallazione esterna (alias strada americana forse perchè il primo tracciato tra le campagne prima dell'abnorme sviluppo urbanistico fu quello impresso dai cingoli dell''esercito alleato, alias doppio senso forse perchè era una delle prime strade a doppia carreggiata - vox populi - o possibile che lo fosse per la presenza delle puttane?) è una delle strade più fetenti  da percorrere tra quelle di periferia della città.
Munnezza sparsa lungo le rampe di accesso da qualunque e verso qualunque paese della cintura, munnezza in cumuli bruciata, palazzoni e palazzine con vista sul traffico e olfatto sul fieto, fazzoletti di verde sporco e rachitico lasciato tra il calcestruzzo.
Accellerazioni e repentine fermate nei pressi di quadrivi e rotonde e rampe, perennemente ingorgati.
Il paesaggio del disordine metropolitano, soprattutto nei  suddetti tratti,  è arricchito da sgargianti  manifesti pubblicitari azzeccati su giganteschi tabelloni pubblicitari posti in fila continua dietro ai guard rail.
(oh, colore, oh, forme, oh.)

Quadrivio Casavatore Arzano.
Passaggio lento, lentissimo.
Guardo i manifesti (potrei guardare nelle finestre e nei balconi aperti, o nei finestrini delle macchine in coda)
T***** arredamenti, F***** cucine, P******ta, e poi Elena e Pasquale.
Quattro scatti, gigantografie affiancate.
Tipiche pose da servizio fotografico pre-matrimoniale, gli 'nnammurati in borghese colti uocchio'int'all'uocchio a puntone al mare prima del fatidico giorno del travestimento in frac e merletti e veli bianchi.
Non c'è il nome dello studio fotografico.
Non è la pubblicità del fotografo.
E' la loro pubblicità.
Elena e Pasquale.

Anche Medoro e Angelica incisero i loro nomi sulla corteccia degli alberi (e Orlando uscì pazzo).
Ma metterci la faccia.
Apparire conta sempre più che essere.



domenica 25 settembre 2011

Particelle molto elementari

La mia conoscenza della fisica è pari a quella che ne ha una capra.
Prima Le particelle elementari erano solo il titolo di un libro di Uellebecco.
Ora so che le particelle elementari sono Fermioni e Bosoni, e che i neutrini appartengono alla famiglia dei Fermioni perchè hanno 1/2 Spin (?!?).
Ora so che immaginare l'atomo e basta (neutroni protoni e elettroni che girano attorno come satelliti), non equivale neanche a disegnare un uomo con quattro mazzarelle e un cerchio (la capoccia).
Ora so che i neutrini possono (potrebbero?) viaggiare ad una velocitá superiore a quella della luce.
Come sia venuta a conoscenza di questo fondamentale, è irrilevante.
(non voglio sprecare manco un micropensiero per qualcosa/qualcuna che meriterebbe di evaporare dalla faccia della terra alla velocità della luce - "la noncuranza è il maggior disprezzo", maledetta questa massima a cui talvolta cerco di attenermi, un papagno in faccia e una caterva di maleparole danno più soddisfazione).

Però, ora che so, mi domando: e dunque?
Tra qualche anno potrò andare lontano senza prendere treni e aerei, soltanto infilandomi in un tubo che mi sparerà via scomponendomi in neutrini?
Potrò viaggiare nel passato? (Rinascimento, grazie, possibilmente proprio dentro il palazzo di Lorenzo il Magnifico)
Nel futuro?(ahemm, passo)
Scoprirò che la morte non esiste, e che i neutrini che componevano la materia del corpo di zio Giovanniello sono assemblati sotto forma di ectoplasma che si rivela nei miei incubi e che quando sono sveglia mi sciosciano alle spalle anche se non me ne accorgo?

Il mio "plauso", e fuori da ogni ironia, e per quanto possa contare, massima stima e rispetto verso tutti i ricercatori, compresi quelli che, riciclando provette e carta, facendo nottate e capriole per uno straccio di finanziamento, tutti i giorni aggiungono un tassello alla conoscenza senza che il mondo ne sappia niente.
Non ne sappia niente oggi.
Ma domani.
Domani chissà.

giovedì 22 settembre 2011

Trastola?

Prima classe. Anni e anni di patente e di guida senza mai un incidente, un urto, una cozzatina, una parafangata.
Oggi  avrei potuto uccidere un uomo (omicidio colposo).
Ho investito  un tale in motorino.
Non l’ho proprio visto. Ho guardato la strada, prima di attraversare l’incrocio.
Sinistra. Ho fatto passare le due macchine veloci e anche una lenta, rossa. Strada libera.
Destra. Strada libera.
Ho messo la marcia e mi sono avviata e  buuum. 
“M’hai acciso! M’hai acciso!” 
Un uomo e uno scooter a terra davanti alla macchina.
Avrei potuto uccidere un uomo per distrazione.
(Ma ho guardato la strada, mi dico, e forse pensavo ad altro, ma a guardare ho guardato. Senza vedere. Cazzo.)
Oddio, ho reso un cristiano cionco per sempre, penso.
La folla, una sedia compare sul ciglio della strada, l'acqua, telefonano al 118.
Il tizio  non vuole l’ambulanza.
Consigli dal pubblico:
"Signò, nun ‘o rate retta, nun s’ha fatto niente, nun dicite che non l’avete visto, ha sbagliato isso"
Ma io lo so che l’ho buttato per l’aria,  che veniva da destra e dunque aveva la precedenza e non l’ho visto.
(Penso: quanto conta la faccia. Quanto contano i modi. Tra la folla, io che avevo sbagliato, ero quella da “proteggere” – un bicchiere d’acqua alla signora.
Il  puveriello, vabbè che pareva un giocatore caduto o atterrato in area di rigore, pareva mezzo muorto e invece  forse calcolava,  forse no, certo non  aveva la simpatia della folla. Ingiustamente, comunque. Ma perchè?)
"E' a siconda vota che sta semmana 'na femmina mi vott pe ll'aria 'ncopp 'o motorino! A siconda vota!"
(la ciorta del pover'uomo)
"Voglio essere sicura che non si è fatto niente di grave, l’accompagno in ospedale" dico.
Fa resistenza. Poi cede, però prima si fa aiutare a portare  il motorino che non si mette in moto dal vicino meccanico (30 metri esatti da).
"Ci mettiamo d’accordo." mi dice. 
Ha già un referto ospedaliero per un braccio contuso, l'incidente di qualche giorno fa.
Insiste con la dottoressa perchè gli venga fatta una tac alla testa.
"Ma se non ha perso mai coscienza, ora sta lucidamente parlando con me, non c'è bisogno. Qualche infermiere pulisca il ginocchio escoriato al signore".
Il referto indica contusione ed escoriazione al ginocchio, 7 giorni di riposo.
E poi al drappello dei carabinieri.
E lo scambio dei dati. 

Chiamo l'assicurazione. 
Racconto.
 "Ahhh, una trastola, sicuro." 
Non lo so. 
Anche se fosse stato fermo sul ciglio della strada e si fosse messo in moto mentre stavo per attraversare l'incrocio, certo è  che non l'ho visto.
Io non l'ho visto.
Ed è terribile.


domenica 18 settembre 2011

Il lavoro rende liberi

"L'orario di visite ai degenti è consentito dalle ore 13:00 alle ore 15:00 e dalle ore 18:00 alle ore 19:00.
Ai degenti dell'Azienda Ospedaliera è garantita l'Assistenza Religiosa. E' anche garantita l'assistenza sociale in tutti i reparti."

A meno che il paziente non abbia bisogno di assistenza continua, si sottintende. Perchè in tal caso si chiude non un occhio, ma tutti e due. Anzi, la presenza continuativa del parente (ma che sia rigorosamente uno, e uno solo) è molto più che ben vista, e in caso di impossibilità ci si rivolga pure al servizio di assistenza a pagamento (nell'ospedale, 50 euro dalle 8 del mattino alle 8  di sera e altrettanti per il turno notturno)
Bisogna far salvo il lavoro degli infermieri, dar loro modo di lavorare.  
Tuttavia  mi vien difficile definire quale sia il loro lavoro, considerato che:
- dopo ripetuti inviti a misurare la temperatura, giunge, egli l'infermiere, e piazza un termometro in mano al parente del degente.
-  dopo che il parente del degente ha misurato la temperatura e rilevato che il termometro segna 39° , egli l'infermiere valuta la situazione e, sfinito dalle pressioni continue, consegna due tachipirine al parente dicendo "se il paziente non le ingoia, sbriciolatele nel cucchiaio e fategliele bere con un poco d'acqua"
-  dopo mezzora dal momento in cui il paziente è stata lasciato solo (a volte si è difettosi nel darsi  il cambio nell' assistenza parentelare - notte giorno di alternanze non stop per un totale di ore 72 - "la sedia a sdraio di giorno non si può tenere in reparto, la piegate e la mettete in quella stanzetta là") l'infermiere telefona al parente del degente invitando ad essere veloci nella sostituzione, perchè "il ricoverato  si agita e non putimm faticà"

Sbaglia chi dice che il lavoro (degli altri)  è una missione.
 Il lavoro non è missione, è lavoro. 
Appunto.

martedì 6 settembre 2011

Cronache di elezioni

Il momento dello spoglio era il più temibile e terribile di tutta la tornata elettorale. Fiato sul collo degli impiegati comunali (Le statistiche! I votanti! I maschi! Le femmine!), come i falchi  i rappresentanti di lista.
Contestazioni su croci poste a cavallo, su croci a catenelle  e su croci firmate.
[Scriva il verbale  indicando in modo preciso i motivi della contestazione e io lo trascrivo - unica frase che, unita alla penna e al foglio protocollo,  cioncava  ogni baldanza.
Quando si  deve scrivere, e non solo dare fiato alle trombe, cambiano tutte le prospettive].
Su alcune schede nulle c’era poco da contestare: artistici disegnini di ispirazione fallica o più complessi o sintetici ghirigori, citazioni serie, aforismi, pensierini, maleparole.
Alcune, se il tempo non fosse stato tiranno,  avrebbero meritato una repertorializzazione.
Nel segreto della cabina, nella folla anonima delle centinaia e centinaia di schede, avrà l’elettore il diritto di non votare chicchessia o chiccheccosa, e di esprimere il dissenso secondo i codici comunicativi che conosce?
(io il dubbio non ce l’ho)

Anche nel Collegio dei  Docenti si vota. A voto palese sui provvedimenti, a voto segreto sui nomi (vendette retroattive e antipatie personali in action).
Elezione del comitato per la  valutazione del servizio dei docenti.
Cinque  docenti esprimono la disponibilità, ferma restando l’eleggibilità di tutti i docenti del collegio (fatte salve le norme restrittive)
Due preferenze da indicare sulla scheda di votazione, i tre docenti più votati eletti come membri del comitato.
Si distribuiscono le schede. Si vota.
Infilate tutte le schede piegate  in 4 o 8 parti nella scatola, si procede allo spoglio.
Tiro una  scheda alla volta dalla scatola, la apro, leggo i nomi,  sulla lavagna si appongono via via le crocette.
Mi fermo. 
Leggo ad alta voce Marek  Hamšík e Edinson Cavani.*

Scheda nulla!

(Mai  dire mai. 
Mai avrei immaginato, in un Collegio dei Docenti.
Docenti.
Buon anno, buon anno)




* giocatori del Napoli